La foto che ho scelto di condividere, per il Contest Missio dall’hashtag #ALZATI, è stata scattata nell’agosto dello scorso anno presso un villaggio nel Nord della Thailandia, durante il viaggio estivo organizzato da Missio Giovani.
Ricordo l’arrivo in quel villaggio Akha (una delle etnie tribali thailandesi). Era il giorno dell’Assunzione che in Thailandia è una festa molto sentita. Per settimane ricordano questo evento e preparano per l’occasione altalene imponenti e spesso poco stabili, ma è proprio qui il bello.
Queste altalene sono costruite su tre lunghi piedistalli di bambù che convergono in alto e dal vertice pendono delle corde su cui, in basso, è collocato un sedile e con le mani alle corde e una buona spinta, ci si può dondolare.
Queste altalene hanno un significato teologico potente e semplice allo stesso tempo: sono la metafora del rapporto che ogni donna e ogni uomo ha con Dio. I bambini del villaggio ci hanno spiegato, prima di salirci su, che lasciarsi dondolare su questa altalena significa affidarsi a Dio, che come un vero e proprio Padre ti spinge verso l’ignoto, ti sprona ad osare, ad andare, ad alzarti da terra.
Questa altalena è l’immagine metaforica che mi hanno consegnato i bambini: la porto con me da quel giorno.
Spesso quando mi sento più sola, persa, penso che c’è sempre un Padre che mi sostiene e non mi lascia cadere. Alla fine è proprio così: il nostro legame con Dio e anche la nostra relazione con gli altri sono una continua altalena, un continuo alzarsi, alzare gli altri quando cadono e lasciarsi alzare dagli altri quando a cadere siamo noi.
È Dio l’altalena che ci sostiene e ci permette di andare oltre, di poter ammirare il panorama da un altro punto di vista, di avere anche paura nel lancio, di sentire i brividi sulla pelle e l’adrenalina a mille, ma di sentirci sempre e costantemente protetti in un abbraccio grandissimo.
L’immagine che mi piace collegare a questa foto è quella di un papà che spinge i propri figli piccoli sull’altalena, facendo loro scoprire l’ebrezza della libertà, ma continuando costantemente a vegliare su di loro perché non si facciano male. È un’esperienza che da piccoli abbiamo vissuto tutti, ma è da adulti che si comprende la grande bellezza di quel momento, pensando che tutti i papà del mondo siano la rivelazione di un Dio che continua a dirci: «Datti la spinta», «Lasciati andare», «Sono qui, ti guardo».
Dio ci dona costantemente l’ebrezza della libertà ed è complice della nostra felicità. Se cadiamo è lì che, in ginocchio su di noi, bacia le nostre ferite e ci permette di rialzarci.
A dondolarci, a far sì che ci alzassimo da terra, quel giorno c’erano i bambini e le bambine del villaggio, che con una forza incredibile spingevano la corda verso terra e poi la mollavano, per lasciarci andare.
Quante cose si imparano dai bambini, quanta forza riceviamo da loro e quante volte ad “alzarci” sono proprio i piccoli, gli impoveriti e i semplici della terra!
Nella mia vita spesso è successo così e ho capito che è proprio in loro, soprattutto, che Dio si fa presente e si lascia amare ed è attraverso la loro storia, la loro vita che Lui ci ama. Lo stesso papa Francesco, durante la Giornata Mondiale della Gioventù a Cracovia nel 2016, ha parlato di “divanofelicità”, che spesso ci costringe a rimanere lì dove siamo, a sostare su un divano dormienti e a trovare la felicità davanti a dei videogiochi. Ma il nostro spirito missionario deve spingerci lì dove non avremmo mai pensato di andare, deve interpellarci, deve farci alzare da quel divano, deve farci indossare gli scarponi e deve invogliarci a intraprendere il cammino della vita, spesso arduo, difficile, ma bellissimo.
«La verità è che non siamo venuti al mondo per vegetare ma per lasciare un’impronta. Quando scegliamo la comodità, il prezzo che paghiamo è molto, ma molto caro: perdiamo la libertà» dice papa Francesco. È la libertà che l’altalena ci insegna a desiderare: più ti alzi dal suolo e più sei libero… Ed è solo sentendoti libero che riscopri quanto bella sia la terra su cui poggiano i tuoi piedi, quanto bella sia la terra che ti ha generato, ma è per il cielo che siamo fatti, per le cose alte, per i sogni grandissimi.
Dobbiamo sempre ricordarci, davanti all’umanità, che dopo esserci rialzati, dopo essere stati alzati, dobbiamo scendere per poter rialzare gli altri e per poterli portare ad ammirare il panorama che si vede dall’alto.
Maristella Tommaso