Nella seconda parte del pomeriggio di oggi – sabato 14 ottobre – all’interno del Festival della Missione in corso a Brescia in questi giorni, qualche centinaio di persone si è ritrovato nel salone Vanvitelliano di Palazzo Loggia per ascoltare padre Alejandro Solalinde, sacerdote messicano che vive sotto minaccia di morte perché i narcotrafficanti hanno messo su di lui una taglia di cinque milioni di pesos (l’equivalente di 220mila euro circa).
La vicenda di padre Solalinde, che ama definirsi «un missionario itinerante», è già nota ai lettori di Popoli e Missione (nel numero speciale dedicato al Festival, infatti, una delle storie di missione raccontate è proprio la sua). Ma il sacerdote messicano ha un modo di entrare in relazione e rapportarsi con i suoi interlocutori che non è affatto scontato: il fatto che consideri chi ha davanti come fratello e sorella, trapela dal suo modo di parlare, di porsi, di avvicinarsi al pubblico, di modulare la voce, di far emozionare. Così oggi, intervistato da Lucia Capuzzi – giornalista di Avvenire e autrice con lui del libro “I narcos mi vogliono morto” (Edizioni EMI) – padre Solalinde ha dialogato con i tantissimi missionari presenti, raccontando la sua vicenda di “missionario itinerante” in cammino con le migliaia di migranti che provenendo dal Sud e Centro America attraversano il Messico per raggiungere gli Stati Uniti (si parla di 500mila persone in transito all’anno).
Lungo questo tragitto rischiano di essere sequestrati dalla criminalità organizzata, che padre Solalinde definisce anche «autorizzata, visto che parte delle autorità e delle istituzioni messicane è spesso corrotta e connivente con la criminalità». I narcotrafficanti, infatti, rapiscono i migranti senza documenti (persone ‘inesistenti’ per il Messico, in quanto entrate irregolarmente nel Paese) e chiedono un riscatto di migliaia di dollari ai familiari; oppure li usano come merce umana per il mercato della prostituzione, il traffico di organi, la tratta.
Padre Solalinde da anni combatte contro i narcos, privandoli della loro fonte di guadagno: nel suo rifugio, costruito a Ixtepec e chiamato Hermanos en el Camino, accoglie tutti i migranti in transito che cercano un posto dove fermarsi, per riposare il tempo necessario (e poi riprendere il cammino), senza timore di cadere nelle mani della criminalità.
Con i due terremoti distruttivi verificatisi recentemente in Messico, però, gran parte dell’edificio che ospita l’ostello è crollato: «Questa è una grande opportunità che Dio mi ha dato per non dimenticare che anch’io sono un migrante. Adesso, infatti, vivo in una tenda. Ma tutti siamo migranti, ‘migranti esistenziali’» ha spiegato. E si è subito preoccupato di aggiungere che dopo il terremoto i migranti sono stati i primi ad organizzarsi in gruppetti per andare ad aiutare le persone in difficoltà, rimandando di un mese la loro ripartenza verso il Nord, nonostante i rischi che corrono fermandosi in Messico.
Per padre Solalinde le migrazioni della nostra epoca sono una buona notizia: «Stanno trasformando la storia – ha detto concludendo – e mi auguro che aiutino l’Europa a riscoprire le sue radici cristiane e i suoi valori di accoglienza e di difesa dei diritti umani. Inoltre i migranti ci ricordano Gesù, anch’Egli migrante. Come Lui ha vissuto da migrante, che così possiamo fare anche noi: imparando da Lui e da tutti loro».