«Per tutti i governanti della terra perché comprendano che il potere gli è stato concesso non per asservire, sfruttare, sottomettere i popoli alla loro sete insaziabile ma per governarli con giustizia, nel pieno rispetto dell’uomo e dei valori di ogni società civile».

Così recita un passo della preghiera per la pace in Siria, scritta dall’associazione Finestra per il Medio Oriente, che oggi 18 aprile, organizza un incontro di raccoglimento in due parrocchie romane.

Sono quella dei S.S. Fabiano e Venanzio al Tuscolano, e quella di Gesù di Nazareth, che dalle 19,00 alle 20,30 aprono le porte a chiunque volesse unirsi alla preghiera per la fine dei conflitti nella martoriata Siria, ancora sotto scacco delle numerose parti in gioco.

«Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra», recita la preghiera.

La Finestra per il Medio Oriente è un’associazione fondata da don Andrea Santoro, sacerdote ucciso in Turchia nel 2006, e che si prefigge l’obiettivo di «favorire il rispetto, la pace e la comunione tra le chiese cristiane e tra ebraismo, cristianesimo e islam».

Nel frattempo in Siria, al momento in cui scriviamo, gli esperti e i tecnici dell’OPCW (Organization for the prohibition of Chemical weapons) attesi a Douma (tornata sotto l’effettivo controllo del governo di Damasco), per indagare sull’uso degli agenti chimici contro i civili inermi, non hanno ancora avuto accesso all’area, per motivi di “sicurezza”, si dice.

L’Associated Press scrive che «le autorità siriana e russe hanno impedito finora agli investigatori l’accesso» o lo stanno ritardando e che in cambio le autorità siriane hanno «offerto 22 persone da intervistare come testimoni», secondo quanto riferito dal direttore generale di OPCW Ahmet Uzumcu.

La green light, la luce verde alle ispezioni, è attesa per oggi, mercoledì.

Gli esperti dell’OPCW hanno invece potuto raggiungere Damasco già sabato scorso.

I tecnici dell’organismo internazionale per la proibizione delle armi chimiche si aspettano «a breve» di poter entrare nella Ghouta «dopo il dispiegamento di tutti i preparativi necessari».

Il timore è che nel frattempo le prove possano però essere manipolate.

Nel frattempo nel sito di Douma alcuni giornalisti, tra cui quelli di Associated Press, lunedì scorso, hanno avuto il permesso di circolare, scortati dai militari, nel corso «di una visita guidata organizzata dal governo» ed hanno riferito storie agghiaccianti, parlando con i civili sopravvissuti.

«Alcuni di loro hanno raccontato di aver sentito uno strano odore diffondersi nell’aria e qualcuno ha gridato: “è cloro! E’ cloro!”», scrive AP, riferendo testimonianze relative al giorno del supposto attacco chimico.

L’articolo di AP (dal titolo Chemical weapons team in Syria kept from alleged attack site) è tra quelli da leggere per l’accuratezza delle fonti riportate, per la chiarezza delle affermazioni e l’obiettività della cronaca.

I giornalisti dell’agenzia stampa hanno visitato il rifugio dove un uomo ha detto di aver ritrovato 47 persone rimaste senza vita, compresa sua moglie incinta e le sue due figlie di 18 mesi e 2 anni e mezzo

Le cronache dei diversi organi di stampa, come quella della BBC, convergono tutte su un punto: la drammaticità della morte e della devastazione a Douma è una realtà incontrovertibile.

Lo scenario apertosi di fronte ai diversi osservatori internazionali è agghiacciante: ognuno lo descrive come qualcosa di infernale.

Non tutti però parlano di cloro o di sarin: ci sarebbero medici che confermano la morte delle persone dovuta a soffocamento o asfissia.

Un dato è certo: in qualsiasi modo siano stati uccisi, questi civili inermi (un centinaio solo dal 7 aprile ad oggi) meritano giustizia e rispetto. Molto più di quanto analisti, sedicenti politologi, giornalisti, esperti e complottisti abbiano finora dimostrato. E certamente meritano anche tutte le nostre preghiere.

foto: Khaled Akasha / Anadolu Agency