In considerazione di quanto sta avvenendo in queste ore  a Lampedusa, la redazione di Popoli e Missione avverte l’obbligo morale di farsi interprete della sofferenza dei migranti e dell’equipaggio della Sea Watch 3. Il mondo missionario italiano, in prima fila nell’annunciare e testimoniare il Vangelo, è sempre stato convinto che vi sono questioni che andrebbero sottratte  all’ordinaria contesa politica, con l’intento di generare consenso. Qui s’impone una sfida culturale che va ben al di là della procedura umanitaria, affermando un’operazione politica che chiama le istituzioni a dare vita a contesti sociali che superino le antiche chiusure degli Stati nazionali, contrastando la pratica dei respingimenti. Lungi da ogni retorica, quanto pesa la miseria di quei popoli, quasi mai mediatizzati, ai quali abbiamo imposto oneri  a non finire affinché l’azione predatoria nei confronti delle loro risorse passasse indisturbata.

Poco importa che l’oggetto del contenzioso siano minerali pregiati o fonti energetiche, la verità  scomoda, che molti vorrebbero non trapelasse, è che il nostro mondo civilizzato ha ricevuto dalle periferie del villaggio globale, molto più di quanto non abbia restituito.

Vittorio Bachelet, presidente dell’Azione Cattolica, ucciso dalle Brigate Rosse, diceva: “Non si vince l’egoismo mostruoso che stronca la vita se non con un supplemento di amore”.  Occorre, dunque, un discernimento profondo, una spiritualità più intensa, un sapere più alto, una capacità di riflettere più vigoroso, un’intelligenza morale che ponga un freno al selvaggio e prorompente interesse di parte. Tutto questo nella consapevolezza, come diceva don Luigi Di Liegro, compianto  fondatore della Caritas diocesana di Roma, che la solidarietà è soprattutto legalità: essere solidali con gli emarginati implica lo sforzo di sentirsi simili a loro, altrimenti è il rifiuto a priori della giustizia.