Si è chiuso ieri a Bari l’incontro “Mediterraneo frontiera di pace” con le parole pronunciate da papa Francesco nella basilica di San Nicola dove si è intrattenuto con i 60 vescovi riuniti e la successiva messa celebrata davanti a 40mila fedeli. E’ la seconda volta che il pontefice torna nel capoluogo pugliese dopo l’incontro con i patriarchi del Medio Oriente del 17 luglio 2018 e la città destinata a diventare “capitale dell’unità” in un area con tanti focolai di guerra e di instabilità sparsi nella sponda orientale e meridionale del Mare Nostrum. Proprio la sua presenza ha suggellato l’impegno a proseguire lungo la strada del dialogo perché i pastori possano «agire come instancabili operatori di pace» e combattere la guerra, definita «una autentica follia, perché è folle distruggere case, ponti, fabbriche, ospedali, uccidere persone e annientare risorse anziché costruire relazioni umane ed economiche. È una pazzia alla quale non ci possiamo rassegnare: mai la guerra potrà essere scambiata per normalità o accettata come via ineluttabile per regolare divergenze e interessi contrapposti». E ha messo in guardia dal rischio degli estremismi e dei nuovi populismi, aggiungendo «mi fa paura sentire discorsi che seminano paura e odio come negli anni Trenta del secolo scorso». Nel “mare del meticciato” bisogna invece pensare ad una teologia dell’accoglienza e del dialogo a partire dal Documento sulla fratellanza siglato ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019.

Quello che Giorgio La Pira aveva definito “il grande lago di Tiberiade” ha una importanza inversamente proporzionale alle sue dimensioni e sempre più, ha sottolineato papa Francesco «siamo chiamati a offrire la nostra testimonianza di unità e di pace» a partire dalla grande sfida delle migrazioni, grazie ad una «svolta antropologica che rende tutti più umani…A cosa serve una società che raggiunge sempre nuovi risultati tecnologici, ma che diventa meno solidale verso chi è nel bisogno? Con l’annuncio evangelico, noi trasmettiamo invece la logica per la quale non ci sono ultimi e ci sforziamo affinché la Chiesa, mediante un impegno sempre più attivo, sia segno dell’attenzione privilegiata per i piccoli e i poveri». I migranti sono nel cuore di Francesco perché tra loro « vi sono quanti fuggono dalla guerra o lasciano la loro terra in cerca di una vita degna dell’uomo. Il numero di questi fratelli – costretti ad abbandonare affetti e patria e ad esporsi a condizioni di estrema precarietà – è andato aumentando a causa dell’incremento dei conflitti e delle drammatiche condizioni climatiche e ambientali di zone sempre più ampie». Nel Mediterraneo o non solo si vive questo fenomeno che  «con le sue dinamiche epocali, segnerà profondamente la regione mediterranea, per cui gli Stati e le stesse comunità religiose non possono farsi trovare impreparati».

Le vibranti parole del pontefice sono la risposta migliore alle attese dei vescovi che durante quattro giornate di lavori si sono confrontati sul comune orizzonte del Mediterraneo. Nella basilica di San Nicola i temi principali del dialogo portato avanti 2con stile sinodale” sono stati introdotti e riassunti dal presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, dall’arcivescovo di Vrhbosna-Sarajevo e presidente della Conferenza episcopale di Bosnia ed Erzegovina, cardinale Vinko Puljić, e dall’amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, monsignor Pierbattista Pizzaballa. Quest’ultimo ha riassunto i temi emersi durante gli incontri, portando la voce delle Chiese del Medio Oriente e del Nord Africa che hanno ribadito di non avere solo bisogno di aiuti economici, «ma innanzitutto di solidarietà, di sentirsi ascoltate, che qualcuno faccia propria la loro difficile realtà, dove però vi è anche la luce di tante testimonianze di fedeltà e di solidarietà umana e cristiana». Dopo avere lasciato Bari, al rientro nelle proprie diocesi, i vescovi si ripropongono, ha detto ancora monsignor Pizzaballa «iniziative di conoscenza reciproca, anche agevolando gemellaggi di diocesi e parrocchie, scambio di sacerdoti, esperienze di seminaristi, forme di volontariato. “Venite e vedete” è stato il nostro motto. Finora, forse si è molto “parlato sulle Chiese e le loro realtà”. Ora bisogna passare al “parlare con le Chiese e le loro realtà”. L’ospitalità, che è tipica della cultura mediterranea, deve iniziare innanzitutto tra noi….Siamo solo all’inizio di un percorso che sarà lungo, ma certamente avvincente. Per questo abbiamo deciso di continuare a incontrarci, stabilmente, per poter poco alla volta costruire un percorso comune dove far crescere nei nostri contesti feriti e lacerati una cultura di pace e comunione».