Quanto è avvenuto giovedì pomeriggio 11 aprile 2019 passerà alla Storia. Papa Francesco si è chinato per terra, a fatica, per baciare i piedi al presidente e ai vicepresidenti designati del Sud Sudan. Un gesto straordinariamente profetico che ha manifestato la forza disarmante dell’umiltà, la cui radice etimologica – humus – è davvero la terra da cui nasce l’humanitas di ieri, di oggi e di sempre.

Tutti sanno bene, sia nel Sudan Meridionale come anche nelle cancellerie di mezzo mondo e nei circoli della società civile, quanto sangue sia sgorgato dall’accesa rivalità tra coloro che sono stati investiti, in modo così intelligibile e sconvolgente dalla Misericordia di Dio, quella di cui papa Francesco è messaggero. D’altronde è proprio la Misericordia che rappresenta, biblicamente parlando, la conditio sine qua non per consentire alla pace d’irrompere in un Paese, il Sud Sudan, lacerato da indicibili violenze e antiche divisioni. Papa Bergoglio non è uno sprovveduto. Come pastore della Chiesa universale è un fine conoscitore dell’animo umano e dunque è ben consapevole che i rapporti tra le opposte fazioni non saranno facili e che potranno evidenziarsi altre tensioni. Però, d’ora in poi – ha detto ai leader convocati davanti alla sua persona — dovranno sempre comparire «davanti al popolo, con le mani unite», solo così «da semplici cittadini diventerete Padri della Nazione».

Foto: Handout / Vatican Media / Afp

Il gesto di papa Francesco nei confronti del presidente sudsudanese Salva Kiir e dei vicepresidenti designati – tra cui Rebecca Nyandeng De Mabior, vedova del leader ribelle John Garang, e Riek Machar, capo dell’opposizione – è avvenuto quasi contemporaneamente alla destituzione a Khartoum, nel Nord Sudan, del presidente Omar Hasan Ahmad al-Bashīr, al potere dal lontano 30 giugno 1989. Mentre scriviamo, il generale Abdel Fattah el Borhan ha giurato come nuovo presidente del consiglio di transizione. Burhan è generale ispettore delle forze armate e il suo curriculum sembra essere più “presentabile” rispetto a quello di altri generali del deposto presidente Omar al-Bashir, non essendo noto per coinvolgimenti in crimini di guerra o mandati di cattura da parte di corti internazionali. Il generale peraltro era stato fra gli alti ufficiali che hanno incontrato i manifestanti scesi in piazza per cercare, invano, di indurli ad abbandonare le proteste. I militari hanno imposto uno stato di emergenza di tre mesi e un periodo di transizione di due anni. E venendo incontro alle richieste dei manifestanti, avrebbero promesso che nel corso della transizione il governo che guiderà il Sudan sarà composto da civili. Nessuno ha una sfera di cristallo per leggere il futuro del Sud e del Nord Sudan. Ma nella fede, con papa Francesco, come redazione, ci associamo al grido di esultanza del profeta: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace» (Isaia 52, 7). Perché di questo si tratta, della pace per quei popoli duramente provati. Che sia pace davvero!