
“Ho pregato il Signore quella volta e ho detto: ‘Signore non farmi trovare un bambino in quel sacco’.
La polizia scientifica continuava a incalzarmi: ‘dottore, dobbiamo iniziare’, diceva. E la Guardia Costiera, che aveva recuperato i corpi, chiedeva le ricognizioni cadaveriche.
Erano 111 sacchi.
Ho aperto il primo, piano piano: e c’era un bambino dentro… Era morto, ma sembrava vivo. E quel bambino è diventato il mio incubo, io lo sogno la notte sapete?”.
Quando Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa, racconta questa storia ha un filo di voce, gli occhi lucidi e rivive ogni istante della tragedia.
I 111 sacchi con dentro uomini, donne e soprattutto bambini vittime del mare e dei trafficanti libici, erano quelli del naufragio del 3 ottobre 2013. Quando morirono in tutto 368 persone.
Di tragedie simili ne ha vissute troppe Pietro Bartolo, in questi anni di migrazioni e morte nel Mediterraneo. E adesso non può fare altro che raccontarle.
“Sapete quante ne ho viste di cose così? A decine! E non ne parla più nessuno”.
La sua testimonianza è accompagnata da video e foto scioccanti.
Come quelle delle donne vittime di violenza sessuale e stenti, di donne per sempre invalidate dalla “malattia del gommone”. Ossia ustioni da contatto causate dal carburante.
La testimonianza del medico di Lampedusa alle Giornate di spiritualità missionaria di Assisi, ha lasciato senza parole la platea.
Lui, per anni direttore del presidio sanitario di Lampedusa, è un fiume in piena, con l’urgenza di ricordare e ridestare (“ma la migrazione non è un fenomeno, è la normalità”, ripete) che non riceve più spazio mediatico.
“Lampedusa da 30 anni accoglie persone: solo questa settimana ne sono arrivate oltre 2mila, anche bambini- ricorda – ma chi ne parla?
Noi siamo un popolo di mare e abbiamo una sola legge: quella del mare.
Ma questo è diventato un mare-cimitero: oltre 60mila persone sono morte in questi anni, ufficialmente, ma in realtà saranno il doppio”.
“Ipotermie, disidratazione…quanti ne ho visti morire e poi un’altra malattia: la malattia del gommone, colpisce soprattutto le donne e sono ustioni da contatto che creano lesioni gravissime”.
Quando rievoca la storia di un altro bambino, Mustafa, unico sopravvissuto di un’intera famiglia migrante, riceve l’applauso del pubblico.
“Ho fatto una cosa per rianimare Mustafa, che avevo visto solo nei film.
Mi sono spogliato e rivestito con lui e l’ho tenuto stretto per tre ore con me.
Ma non sono stato io…sapete… io ho pregato!”.
Quel bambino ce l’ha fatta, è stato salvato.
“Lo abbiamo ricoverato a Palermo: chiedeva della mamma, delle sorelline e aveva perso tutti”.
Quei bambini, ripete Bartolo, sono come tutti gli altri, “sono come i vostri”.
Prima di uno dei molti naufragi, con la barca lasciata alla deriva, “le mamme avevano preparato le loro figlie con i vestitini buoni, perché di lì a poco sarebbero scesi dal barcone e entrati in Europa”.
E invece a poche miglia dalla salvezza sono morti.
La sua voce accorata e lo sguardo umano e sofferente cerca una sponda nel resto dell’umanità.
Non l’ha trovata al Parlamento europeo, Bartolo, non come avrebbe voluto almeno: europarlamentare per una legislatura dal 2019 al 2024.
Si è trovato isolato sul versante migranti. E non è riuscito ad evitare che fossero approvate leggi e riforme di chiusura, penalizzanti per chi cerca di emigrare.
Si dice deluso dalla politica ma non ha affatto perso la speranza: “adesso vado nelle scuole, sono gli studenti, i più giovani, quelli che bisogna formare. Io voglio soprattutto parlare a loro”.