Appena entrata nella casa famiglia della Papa Giovanni XXIII a Bucarest in Romania, residenza di don Federico Pedrana e di due volontari che hanno o stanno per terminare il percorso di recupero dalla droga, ho visto un grande quadro con appese diverse foto: case a pezzi, persone in buchi sottoterra… realtà che dal giorno dopo avrei toccato con mano. «Ma cosa ci faccio io qui?» Mi chiedo un po’ impaurita sotto il peso del mio zaino e delle precedenti 38 ore in pulmino. Scendo tre scalini e vedo davanti a me una gigantografia del viso sorridente, e vi assicuro in quel momento molto rassicurante, di don Oreste Benzi, fondatore dell’associazione, e scorgo, un po’ più sotto, una sua frase incisa su una tavoletta di legno:  “Il coraggio non consiste nel non aver paura, ma nel vincere la paura per un amore più grande” …Ma certo! Sono partita perché, come mi ricorda Papa Francesco nel messaggio per la giornata missionaria mondiale 2018, «con il Battesimo sono parte delle membra vive della Chiesa, la cui missione è quella di portare il Vangelo a tutti» semplicemente con il mio “eccomi” che nonostante tutte le ferite e i limiti, Dio ha scelto lo stesso. Sia benedetto il Signore: “Grandi cose ha fatto in me colui che è potente e santo è il suo nome” (Lc 1,49).

Rileggevo quella frase ogni mattina prima della preghiera e, insieme alla Parola la portavo ovunque: nel Monastero delle Suore di Madre Teresa di Calcutta a Ferentari; mentre rincorrevo i bambini zingari del mio gruppo per cercare di spiegargli a gesti l’attività (data la mia scarsa conoscenza del rumeno); nelle lacrime di commozione nell’abbraccio con il senzatetto del parco che quel giorno si è allontanato indossando la maglietta del mio oratorio o ancora nell’aiuto enorme di don Federico nel superare tutte le mie paure semplicemente con la sua vita, gioia e vocazione.

Forse però, il passaggio più importante  è stato riscrivere sul mio quadernetto dei pensieri questa frase per portarmela anche a casa. No, non è stato facile, e continua a non esserlo perché l’essenzialità di cui ha bisogno un senzatetto seduto in un angolo con il sacchetto di punga è scritta sul sorriso che ti rivolge quando ti ci siedi a fianco, eccola la sete di amore! Ecco quello di cui vive, ecco tutto ciò che serve!

Ma una volta tornata? “Vivere la mia quotidianità con un cuore nuovo” mi ero scritta in uno degli ultimi incontri del percorso in preparazione a questa esperienza. Ma ancora una volta, dieci ore dopo essere atterrata a Bergamo le mie paure mi hanno coperto gli occhi, non vedevo missione possibile nella mia quotidianità. Ancora una volta ci ha pensato Lui, mi ha messo accanto delle persone. Come don Pietro Bianchi mi ha detto: “In Romania non potevi fare altro che stargli accanto? Beh anche qui! Siediti accanto a loro con la tua vita e con la tua storia”, già perché anche se ogni volta che parlo di punga qui devo spiegare cos’è, di droghe ce ne sono altre, sotto forma di  telefoni, noia, vestiti e tutto ciò che rende così difficile sorgere negli occhi di un ragazzo la sofferenza che si cela sotto la visiera del suo  cappellino firmato. Perché infondo  «Io sono una missione in questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 273).

 

Jessica, Romania