Ero straniero e mi avete accolto

Atterrati in Tanzania ad attenderci fuori dall’aeroporto c’erano due suore rosminiane e l’autista del dala dala, il pulmino. Subito riconoscenti di essere stati accolti abbiamo baciato la terra, mentre un caldo avvolgente ed una leggera pioggerellina scendevano sopra a Dar Es Salaam. La nostra esperienza missionaria stava finalmente iniziando, l’avevamo attesa e sognata a lungo nei mesi precedenti.

Dopo un lungo viaggio immersi nei paesaggi africani, tra coltivazioni di tè, terra rossa e foreste a perdita d’occhio, siamo arrivati nella missione di Muheza, dove tutte le suore ci hanno accolti con canti, musiche e balli. Cantavano per noi dicendoci “Benvenuti stranieri”, Karibu wageni, con gioia vera e traboccante.  Subito abbiamo capito che, umanamente parlando, avremmo ricevuto molto più che donato, nonostante la povertà con cui sempre e troppo ingenuamente si descrive l’Africa.

La parola “wageni” in kiswahili si traduce sia come “stranieri”, cioè etimologicamente in italiano “estranei, esterni”, ma anche come “ospiti”, cioè con accezione positiva. In una sola parola che racchiude entrambi i significati insieme, abbiamo compreso quanto semplicemente le persone che abbiamo incontrato interpretino soltanto l’accezione positiva e quanto questo possa fare la differenza negli atteggiamenti quotidiani. Avere ospiti in Tanzania vuole dire ricevere benedizioni.

Questo ricordo che ci portiamo nel cuore ancora oggi non può che farci pensare a quanto la cronaca italiana degli ultimi tempi, a proposito della lettura del fenomeno migratorio, sia distante da questa semplicità genuina tipica della gente che abbiamo incontrato in Tanzania.

Questa è stata la prima lezione evangelica che abbiamo ricevuto durante la prima sera trascorsa in missione, ed è stata soltanto l’inizio di una lunga serie…

Mariachiara e Matteo, Tanzania