Questa estate ho vissuto l’esperienza di “Missione Albania” con la Comunità Missionaria di Villaregia. Ho scelto “Missione Albania” perché desideravo vedere con i miei occhi e toccare con mano una realtà che dista appena un’ora di aereo dall’Italia eppure sembra così lontana da noi.

Una delle prime mattine ci siamo recati presso la casa delle Suore di Madre Teresa, che accoglie ragazze disabili e con problemi mentali. L’impatto è stato crudo e scioccante: non sapevo che dire, che fare, mi chiedevo “che ci faccio qui?”. Avvicinarsi alle persone, parlare, dare la mano, tutti gesti normalissimi diventavano complicatissimi. Con un po’ di timore ho iniziato ad avvicinarmi, a chiedere il nome. Poi con altri compagni di viaggio abbiano iniziato a spingere alcune carrozzine, far fare alle ragazze alcuni giri del cortile, smuoverle un po’. E smuovendo loro ho iniziato a smuovere anche me e le cose si facevano a poco a poco più naturali. E da questo ne ho tratto un grande insegnamento: l’unico modo per superare un pregiudizio, qualsiasi esso sia, è starci dentro, affrontarlo avvicinandosi all’altro e incontrandolo.

Anche l’esperienza del Grest con i bambini è stata impegnativa e ha richiesto parecchie energie. Il tema che avevamo scelto di proporre era quello della pace. Attraverso una scenetta iniziale e un momento di preghiera cercavamo di trasmettere ai bambini il valore della pace declinato in quattro modi: con se stessi, con gli altri, con la natura e con Dio. Il messaggio di pace che abbiamo provato a trasmettere loro è molto importante, specie per un popolo come quello albanese che ha vissuto un periodo di regime molto duro, di cui sente ancora le conseguenze. Abbiamo cercato di raccontare loro che la serenità interiore, la fraternità con gli altri, il rispetto del creato e la presenza di Dio nella nostra vita, sono quattro sfaccettature della pace collegate fra loro, ciascuna imprescindibile.

Ogni pomeriggio abbiamo visitato una diversa realtà: frati, Clarisse, Stimmatine, Comunità Papa Giovanni XXIII… Ognuna di queste realtà ci ha raccontato l’Albania, in particolare il periodo del comunismo. Mi ha colpito il dolore che questo popolo ha dovuto subire e il fatto che non erano risparmiati da queste sofferenze né i cristiani né i musulmani. Spesso nelle celle erano rinchiusi musulmani e cristiani insieme, e insieme pregavano, ciascuno il loro Dio. È grazie a questo che oggi in Albania è radicato un forte senso di tolleranza religiosa, tanto che dalla piazza di Scutari si possono ammirare il minareto, il campanile della chiesa cattolica e quello della chiesa ortodossa. Il regime voleva uccidere Dio dalle menti e dai cuori delle persone perché Lo considerava una minaccia. Dio infatti è amore e l’amore fiorisce solo dove c’è libertà, ma questa libertà per il regime era inaccettabile. E così il popolo albanese è stato costretto a coltivare la propria fede nel segreto delle proprie case, al chiuso, di notte. Di fronte a queste storie ho sentito la mia fede molto piccola ma anche spronata a crescere.

 

Marco, Albania