L’incontro della rete coordinata da Missio

Nel weekend 25-26 gennaio, si è svolto al CUM di Verona il 6° incontro di Agorà della Mondialità, servizio di formazione e animazione della Fondazione Missio su educazione alla mondialità, intercultura, nuovi stili di vita. Alla presenza di 35 tra insegnanti, formatori, operatori pastorali diocesani, di istituti religiosi, di associazioni e ragazze e ragazzi del servizio civile, si è parlato di Agenda 2030 delle Nazioni Unite e, in particolare, dell’obiettivo di sviluppo sostenibile n. 12, che riguarda consumo e produzione responsabili.  Nel giorno di sabato i partecipanti hanno preso parte ad attività interattive, quiz, laboratori e giochi di ruolo alla scoperta degli obiettivi dell’Agenda 2030 e delle problematiche sottese all’industria della moda, proposti dal team di formatrici della rete Humansfirst di Verona, una rete multistakeholder di cittadini, imprese, associazioni del territorio veronese che ha a cuore sostenibilità e bene comune. Dal confronto è risultato che per molti i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile sono ancora sconosciuti. Si tratta dell’Agenda adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU nel settembre 2015 per portare il mondo su una strada di sviluppo sostenibile e di equità per tutti gli abitanti del nostro pianeta e per le generazioni future entro il 2030, nel cui preambolo si legge: “Siamo determinati a fare i passi audaci e trasformativi che sono urgentemente necessari per portare il mondo sulla strada della sostenibilità e della resilienza. Nell’intraprendere questo viaggio collettivo, promettiamo che nessuno verrà trascurato”. Si è cercato di approfondire uno per uno i 17 obiettivi, andando ad esplorare informazioni e dati rilevanti sulla situazione globale del nostro pianeta e sulla situazione italiana a riguardo.

Nel pomeriggio i partecipanti sono stati condotti in un viaggio alla scoperta dei costi nascosti del cosiddetto fast fashion, la moda low cost che produce enormi quantitativi di capi di abbigliamento a prezzi molto bassi senza curarsi dei costi sociali e ambientali della produzione. In particolare, attraverso la vita di un paio di jeans, l’elemento più inquinante nei nostri armadi dal punto di vista ambientale e sociale, i partecipanti hanno preso consapevolezza degli impatti dei propri acquisti e delle possibilità di cambiamento che possono realizzare tramite le loro scelte, acquisendo gli strumenti per prendere una decisione consapevole. Al termine è intervenuta Silvia Scaramuzza presentando un modello virtuoso nel settore moda, Progetto Quid, una cooperativa sociale che produce le proprie collezioni di moda recuperando materiale tessile in eccesso e offrendo opportunità di impiego stabile e crescita lavorativa nel settore moda a persone con un passato di fragilità e che hanno difficoltà ad accedere al mercato del lavoro in Italia.

Nella giornata di domenica è intervenuta Marta Avesani, vicepresidente della Federazione dell’Economia del Bene Comune in Italia. L’Economia del Bene Comune è un movimento internazionale nato per promuovere un modello economico nuovo fondato sulla massimizzazione del bene comune. Marta ha coinvolto i partecipanti in piccoli giochi utili a comprendere come la ricerca del profitto fine a se stesso senza alcuna attenzione agli impatti sociali ed ambientali che produce, porta a distruzione e disuguaglianze. Solo laddove l’economia ritrova il proprio posto di strumento a servizio degli esseri umani e nel rispetto dei limiti della Casa comune-Terra sono possibili sviluppo sostenibile e benessere condiviso per tutti. I partecipanti sono stati poi coinvolti nella redazione di una “matrice del bene comune”, cioè di una tabella di autovalutazione per le organizzazioni che vogliono misurare i propri impatti sulle persone e sull’ambiente tenendo conto di valori, come la dignità umana, la solidarietà e la giustizia sociale, la sostenibilità ecologica e la trasparenza delle decisioni al fine di operare i cambiamenti necessari per produrre impatti positivi e costruire bene comune.