Uvira cerca di risollevarsi dopo le alluvioni devastanti di metà e di fine aprile, ma per i suoi abitanti non è facile ricominciare a vivere.

Le macerie della città congolese a nord del lago Tanganica sono ancora tutte lì, come dopo un terremoto o un bombardamento aereo.

“Oltre 7mila case sono andate distrutte e 86mila persone sfollate vivono accampate in luoghi di fortuna e nelle 14 scuole allestite per accoglierle”, ci racconta al telefono suor Delia Guadagnani, una delle quattro missionarie saveriane che vivono a Uvira. “Avremmo urgente bisogno di liberare le strade dai massi, dal fango, dalla terra accumulata. Si sono staccati costoni di montagna che ci è precipitata addosso, come una valanga”.

Quello che descrive Delia è uno scenario apocalittico nel quale le autorità locali latitano: “diciamo pure che i soccorsi sono andati molto a rilento. Per giorni non si è visto un soldato, un poliziotto e neanche un operatore della missione delle Nazioni Unite”, spiega lei.

Il sindaco ha promesso interventi, ma finora “la comunità ha fatto tutto da sola; usiamo i badili e le mani per spostare la quantità enorme di terra e fango”.

Mentre parla con noi, riceve la chiamata della Caritas locale, che si sta dando da fare per portare cibo e acqua agli sfollati. Quattordicimila famiglie non hanno più casa e per loro si sono aperte le porte degli edifici scolastici e delle chiese. Ma anche diverse scuole hanno subito danni. “Sono 14 le scuole piene di persone, pensate che in ‘aula vivono 10 famiglie, almeno 100 persone”.

L’acqua potabile non esiste più a Uvira: le persone vanno a prendere acqua e a lavare i panni al lago Tanganica, ma quest’acqua non si beve. “Potrebbe essere resa potabile ma non è la condizione ideale questa”, spiega la missionaria.

In Africa tutto è talmente imprevedibile che perfino l’imprevedibilità di un virus come il Covid-19 è stata meno devastante.

“Ad aprile eravamo preoccupati per il virus – dice sorridendo la missionaria – ci preparavamo ad affrontarlo, e invece è arrivato un altro pericolo molto più grande: quello dell’acqua. E allora abbiamo accantonato le mascherine e ci siamo difesi dal fango”.

Suor Delia, che vive in Congo dal 1988, descrive qualcosa che non è rara da queste parti, ma stavolta la violenza dei nubifragi è stata superiore a qualsiasi previsione.

Per due giorni di seguito il cielo non ha fatto altro che buttare giù acqua che ha rotto gli argini dei fiumi, esondato torrenti e danneggiato strade. Inoltre ha fatto venir giù la montagna.

Alle alluvioni queste popolazioni sono abituate: è dal 1926 che le piogge devastano questa regione del Congo, durante il periodo invernale. Ma “questa è stata una delle peggiori. E non finisce qui: adesso arriva la stagione secca, quindi siamo al riparo dalle piogge, però il terrore è che possa arrivare il colera”.

Le quattro missionarie, (oltre a Delia ci sono Genoveffa, Marceline e Nzigire), si sono dovute trasferire nel Centro Béthanie, che assiste bambini con handicap. Le loro giornate sono frenetiche e per ora di tornare a scuola (l’istruzione è uno dei loro impegni missionari) non se ne parla. La Repubblica Democratica del Congo vive una emergenza permanente.