«Una dichiarazione di guerra contro il popolo palestinese», così è stata definita dai rappresentanti palestinesi, la minacciata annessione di una ulteriore fetta della Cisgiordania da parte di Benjamin Netanyahu. 

Il primo ministro israeliano, a pochi giorni dalle elezioni politiche, fa la voce grossa e promette al suo elettorato che in caso di vittoria del Likud realizzerà un piano per l’annessione di tutta la Valle del Giordano, che com’è noto è già ampiamente ‘occupata’ illegalmente da diversi insediamenti di coloni ebraici.

Operazione, quella minacciata dal primo ministro, di certo contraria a qualsiasi risoluzione delle Nazioni Unite e al diritto internazionale nel suo insieme.

Forte di quale potere Netanyhau prometta una tale ulteriore violazione delle regole è difficilmente comprensibile, di certo la propaganda elettorale lo porta a spingersi fin dove in passato non era ancora arrivato.

Sono circa 65mila i palestinesi che vivono nella Valle del Giordano e nella parte settentrionale del Mar Morto e 11mila i coloni.

La Lega Araba ha condannato un simile piano, bollandolo come vera e propria «aggressione» ad un intero popolo, considerato che nel frattempo si starebbe negoziando un’ulteriore conferenza per la pace a Camp David, dove gli Stati Uniti sono i garanti.

Qualche mese fa si è parlato invece di una mossa della destra israeliana stessa per accattivarsi i favori del negoziatore americano per la pace che visiterà Israele a settembre: autorizzare la costruzione di insediamenti per i coloni in Cisgiordania (nella cosiddetta Area C), ma anche quella di case per i palestinesi.

I numeri rimangono però estremamente sbilanciati: si parla di seimila case per i coloni ebraici e di appena 700 per gli arabi. Questa rara “concessione” in favore dei palestinesi ha una contropartita: persuadere il negoziatore Usa che Israele farà la sua parte e che al tavolo della pace se ne dovrà tenere conto.

Poco importa che la costruzione delle colonie nella West Bank sia fuori legge e che il congelamento totale degli insediamenti dovrebbe essere il presupposto di qualsiasi futuro accordo.

Si noti che il  rappresentate Usa per il Medio Oriente e negoziatore per la pace tra Israele e Palestina, è il ventinovenne Jared Kushner, genero di Donald Trump, senza esperienze precedenti in ambito diplomatico.

«Dobbiamo abbandonare il paradigma dell’occupazione –dice la studiosa americana Virginia Tilley, docente di Scienze politiche alla Southern Illinois University e autrice, col collega Richard Falk, del rapporto Onu: “Pratiche israeliane nei confronti del popolo palestinese e questione dell’Apartheid” – e anche l’idea ormai tramontata della soluzione negoziale “due Stati per due popoli”: questa impossibilità è riconosciuta a livello diplomatico. Ci può essere soltanto uno Stato per due popoli e a quel punto bisognerà scegliere: sarà di apartheid o di democrazia laica?».