Paolo di Tarso, nato nell’allora Cilicia, in Asia Minore, presumibilmente attorno al 10 D.C., con il nome di Saulo, può essere considerato il primo grande missionario della Chiesa.

Di famiglia ebraica, divenne cristiano, anzi da persecutore di cristiani divenne missionario della Parola.

Lui stesso si definiva «l’apostolo dei Gentili»: fu prescelto dallo Spirito Santo – colpito fisicamente dall’apparizione divina – che lo sconvolse totalmente e da quel momento in poi amò così tanto Cristo da farsi divulgatore del suo messaggio di salvezza.

Da feroce torturatore dei seguaci di Cristo, divenne pastore: la sua rabbia si tramutò in una feconda mansuetudine, attraverso l’effetto dello scandalo che Cristo produsse nel suo cuore.

Una conversione miracolosa, quella di Paolo, talmente radicale da non avere pari. Sebbene non avesse conosciuto di persona Gesù, fu tra i discepoli il più appassionato e convinto.

Il suo contributo alla diffusione del messaggio evangelico è anche molto esteso geograficamente. Un bel libro di Teresio Bosco, uscito qualche anno fa per la Elledici, dal titolo “Paolo. Primo missionario”, parla di lui come di una figura ricca e complessa: l’Apostolo delle nazioni, come venne definito, prima di essere l’autore delle Lettere indirizzate alle diverse comunità, è un predicatore.

Divulgò la parola in Siria, dove ebbe in un certo senso, dei predecessori. A Damasco, a Tarso e in particolare in Antiochia, erano già sorte delle comunità nelle quali convivevano ex giudei e coloro che non si consideravano vincolati alle stringenti regole ebraiche di riposo sabbatico, circoncisione, e astinenza da cibi contaminati.

Prima dell’”incontro” con Gesù, Paolo perseguitava coloro che vivevano totalmente riferiti agli insegnamenti del Nazareno.

Di lui, della sua conversione miracolosa e delle modalità della sua predicazione, parlano numerosissimi studiosi, teologi come Giancarlo Biguzzi che ha scritto diversi libri e in particolare il testo dal titolo “Paolo e la Donna”, che indaga il rapporto con le donne cristiane.

A Filippi, Corinto, Efeso Paolo sceglie come collaboratrici alcune donne alle quali non chiede affatto di tacere, come spesso si pensa erroneamente di lui, indicato come apostolo contrario alla predicazione femminile. Prima della sua conversione, scrivono gli esperti, Paolo non tollerava la dedizione totale e la testimonianza radicale dei cristiani che erano per lui dei sacrileghi.

Sulla via di Damasco, mentre andava in Siria da Gerusalemme, accadde ciò che lui stesso avrebbe poi definito come una sorta di “agguato della Grazia” di Dio: «Io che sono stato afferrato da Gesù Cristo», scrisse (Fil 3, 12).

Una luce dal cielo lo investì, rendendolo cieco, e una voce gli chiese: «Saul, Saul, perché mi perseguiti?». E lui: «Chi sei o Signore?»; e la voce: «Io sono Gesù che tu perseguiti. Orsù alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare» (Atti 9, 3-7).  Il  divino, cioè, irrompe in modo “prepotente” nella storia di un uomo che era sostanzialmente un fariseo.

Non appena a Paolo tornarono le forze, dopo la ‘visione’ sulla via di Damasco, si mise a predicare nelle sinagoghe: «destando generale meraviglia, va’ proclamando Gesù di Nazareth come Figlio di Dio, cioè il Cristo» (cf At 9, 19-22). Non fu facile per Saul comprendere quella chiamata, né adeguarsi alla sua nuova vita. Perché fu rinnegato dai suoi compagni e guardato con sospetto da coloro i quali erano abituati a vederlo come un nemico, ossia i primi cristiani.

Insomma, Paolo non era più a suo agio in nessun luogo, e non era più sostenuto né dentro né fuori. Un totale isolamento che però lui ebbe la forza di sopportare e di non sentire come un peso. Successivamente incontrò e frequentò Pietro e gli altri Apostoli che lo arricchirono con la conoscenza della vita e della Parola di Gesù.

Da allora in poi Paolo intraprese una serie di viaggi apostolici, spesso accompagnato dall’apostolo Barnaba e da altri discepoli e amici. Conobbe persecuzioni e prigionia, da parte degli ebrei e dei romani, ma non si fermò mai, perché a quel punto la sua fede era totalizzante e la sua sete di verità   iniziò ad essere contagiosa. La sua missione lo portò ad essere perseguitato e poi martirizzato, a Roma, attorno al 64-67 D.C.

Ma di lui ci rimane molto: le Lettere e i testi che ha lasciato Paolo sono alla base della Dottrina della Chiesa come la conosciamo. Ha toccato nei suoi studi e nelle sue predicazioni tutti gli argomenti legati alla vita terrena degli uomini e al cammino verso la salvezza.

In San Paolo la Chiesa riconosce uno dei suoi più grandi sapienti e maestri e il primo dei suoi predicatori. Dello stile e del metodo seguiti da San Paolo nella sua attività missionaria parlano gli Atti degli Apostoli e soprattutto le sue Lettere, autentici strumenti di evangelizzazione.

Ne risulta una figura altamente significativa, un modello apostolico per tutta la Chiesa, come scrivono Paolo Iovino in “Paolo: esperienza e teoria della missione” e Carlo Ghidelli, “Lo stile e il metodo missionario di Paolo”, in Parole di Vita. La sua vita e la sua storia sono esemplari e in un certo senso simili a quelle che possono vivere nella persecuzione alcuni nostri missionari anche al giorno d’oggi: inviati in Paesi spesso ostili alla fede cristiana, oppure ignorati o calunniati per la loro fede profonda, vanno avanti nell’evangelizzazione e nella loro testimonianza fedele alla figura di Gesù.