«Quando il genocidio contro i Tutsi ebbe inizio, il 7 aprile del 1994, alcuni ufficiali francesi furono immediatamente consapevoli del fatto che il livello di violenza avrebbe oltrepassato quello di ogni altro precedente massacro».

Ma non solo non fecero nulla, furono addirittura complici di uno dei maggiori crimini contro l’umanità.

A riferirlo in un dossier molto dettagliato, 52 pagine suddivise in sei capitoli, è lo studio legale americano Cunningham, Levy, Muse per conto dell’attuale governo ruandese.

Scorrere le pagine del report Muse fa rabbrividire ma è illuminante per comprendere il livello di coinvolgimento dei militari francesi sia nel rifornimento di armi agli aguzzini, che nell’occultamento della violenza inaudita perpetrata dai responsabili di etnia Hutu ai danni della popolazione Tutsi.

Il dossier non contiene elementi del tutto nuovi rispetto a quanto già saputo, ma il suo merito è quello di accostare fatti, circostanze, nomi e soprattutto fare una richiesta esplicita ai vertici di Parigi affinchè procedano a desecretare i documenti d’archivio ancora top secret.

Finora i ministeri francesi si sono rifiutati.

Gli alti gradi dell’esercito «contribuirono a realizzare gli obiettivi e le azioni di entrambi i soggetti- il governo Habyarimana e i génocidaires – che presero il potere immediatamente dopo l’inizio del genocidio contro i Tutsi», si legge del dossier Usa.

Inoltre «gli ufficiali hanno continuato ad interferire con tutti i tentativi fatti per arrivare alla verità e ripristinare la giustizia a riguardo».

Quello che i legali americani raccomandano ai francesi è d’essere collaborativi almeno in questa fase: il tassello finale è l’apertura degli archivi militari secretati.

Perché la verità sia resa nota e provata ulteriormente è necessario avere accesso a questi documenti segreti.

«La Francia dovrebbe pienamente collaborare con l’inchiesta del governo ruandese – scrivono nelle raccomandazioni finali – Non c’è dubbio che gli archivi della Francia sono pieni di documenti e materiale senza i quali l’intera vicenda non sarà mai completamente nota».

Per decenni gli alti ranghi militari e i funzionari statali «regolarmente e in modo estensivo hanno inviato messaggi e lettere al governo di Parigi sui fatti ruandesi. Molti di questi materiali sono classificati come “segreti” e non sono dunque accessibili al pubblico».

Adesso, quasi un quarto di secolo dopo, il mondo deve sapere i dettagli di una complicità omertosa con i vertici Hutu che causarono il massacro di almeno 800mila persone durante 100 drammatici giorni.

Il genocidio si concluse con l’Opération Turquoise, una missione voluta e intrapresa dai francesi davvero troppo tardi, sotto egida Onu.

Perché così tardi? Perché lasciare che si compisse un simile crimine contro l’umanità, pur conoscendo fin dall’inizio le intenzioni degli aguzzini?

Un portavoce del ministero degli Esteri francese ha dichiarato ad Aljazeera che la Francia è impegnata a perseguire tutti coloro che sono coinvolti nel genocidio, chiamandolo «una delle peggiori atrocità del nostro tempo».

Il governo del Rwanda ha accettato le raccomandazioni del report lanciando un’inchiesta a 360° per indagare il ruolo dei militari francesi.

Christiana Ruggeri, giornalista del TG2 in un libro appena pubblicato “Dall’inferno si ritorna”, edito da Giunti, presentato oggi 15 dicembre alle 17.00 a Marsciano presso la Biblioteca comunale, racconta la storia di Berenice (Bibi) che riuscirà a rinascere dopo lo sterminio della famiglia-

Il 13 aprile 1994 un gruppo armato Hutu entra in casa di Bibi, a Kigali.

Quando, molte ore dopo, la ragazzina si sveglia non ricorda cosa è successo: ha solo il desiderio di bere succo d’ananas e avverte un odore pungente nella stanza.

Ha il braccio destro dilaniato, l’addome perforato dai proiettili, lesioni alla nuca e a un orecchio causate dai calci.