«L’uomo è chiamato ad essere co-creatore del mondo: il progetto di Dio infatti è che gli uomini diventino Dio stesso e che tutti, ognuno di noi, nessuno escluso, possa essere come un altro Cristo, già qui sulla terra».

Con queste parole don Matteo Moretti, teologo dogmatico e sacerdote nell’Arcidiocesi di Portoviejo, in Ecuador, ha introdotto ieri il prologo al Vangelo di Giovanni, in un incontro formativo con i giovani di Missio sul tema delle fede, che segna la seconda tappa di un cammino tematico.

«La fede è la risposta dell’uomo all’amore del dono di Dio», ha spiegato don Matteo, usando parole mutuate anche dai padri della Chiesa, che hanno molto colpito l’uditorio dei giovani.

Matteo Moretti è partito in effetti dalla definizione di fede che alcuni ragazzi di Missio Giovani avevano dato in precedenza.

Cos’è la fede? Si è chiesto il teologo. Certamente non ha nulla a che vedere con la «rinuncia, il sacrificio, la penitenza ma piuttosto con la vita», ha detto.

Rileggendo Giovanni e spiegando ai giovani anche il contenuto della Lumen Gentium, don Matteo ha detto che «la parola mortificazione nel nuovo testamento non esiste affatto, c’è invece la parola vivificazione», che è esattamente il suo opposto.

Fede non è neanche quello che spesso siamo portati a credere: un abbandonarsi senza riserve alla volontà di Dio.

E’ certamente avere fiducia, ma sempre all’interno di un percorso «di grande consapevolezza», dove il progetto di Dio per l’uomo deve essere chiaro fin dall’inizio.

«Il logos che muove Dio all’atto creativo del mondo è un comandamento ateo», ha detto il teologo, nella misura in cui non si concentra sull’amore per Dio ma per gli uomini.

Nel Vangelo di Giovanni appare un comandamento nuovo: «ama come sei stato amato. Il rischio di concentrarsi sull’amore di Dio invece è quello di dimenticare l’amore per sé e per gli altri».

Proseguendo nella meditazione don Matteo ha aggiunto che «il progetto della divinità è che la morte non interrompa la vita, ma piuttosto la trasformi».

E che l’uomo, già durante la vita percorra il suo cammino di «divinizzazione». Questo è stato forse il concetto più forte e toccante dell’intera giornata.

 

«Il mio cammino terrestre – ha spiegato – è la mia divinizzazione. Anzi, c’è di più: finché tutto non sarà divinizzato anche a Dio mancherà qualcosa».

E allora, «impastarsi del progetto e del logos di Dio significa diventare dei miracoli viventi».

I giovani presenti all’incontro hanno ascoltato queste parole ‘rivoluzionarie’ per le loro vite e poi rivolto delle domande a don Matteo Moretti. Sul perdono ad esempio, e sul concetto di fede non solo individuale ma collettiva.

«I cristiani si trasformano in miracoli viventi, non per averlo in qualche modo meritato ma per il fatto stesso di essere coinvolti nel progetto divino».

Infine ancora «la fede – dice Moretti – è un cammino di inabissamento verso il basso per trovare il vero contatto col divino».

E soprattutto la «luce di Dio non fa distinzioni fra persone: illumina tutti per quello che sono. Non fa distinzioni neanche tra credenti e non credenti ma divinizza tutti».

Tanto che può accadere, secondo il Vangelo, che «chi pensa di essersi salvato sia invece perduto e chi pensa di esser dannato si salvi».

Questo incontro è il secondo di cinque, all’interno di un percorso formativo di Missio Giovani, partito dalla parola ‘gioia’, proseguito con ‘fede’ e che nei prossimi due seminari vedrà analizzati i concetti di ‘vocazione’ (nel mese di marzo) e ‘sogno’.