«Ho comprato tutto quello che ci può servire per Natale: vestiti nuovi per i bambini, dolci, luci e addobbi per l’albero. Ho una bimba di dieci anni che impazzisce per il Natale!».

Questo è il primo anno dal 2014 che la famiglia di Linda Abid Younis – 44 anni e 4 figli, cristiana irachena di Telskof – torna a casa a nord di Mosul.

E festeggia la nascita di Cristo finalmente nella propria città, nella Piana di Ninive, rimasta per oltre tre anni nella mani dell’Isis.

La storia è raccontata dal sito di Rescue, che pubblica anche le foto di Linda e spiega come la vita da rifugiati potesse essere precaria e insicura ad Erbil, nel Kurdistan iracheno.

Linda stessa aveva dovuto lasciare la sua attività di sarta e modista, abbastanza avviata a Telskof e adesso dovrà ricominciare tutto da zero.

Sono circa 150mila i cristiani espulsi dalla loro patria in seguito alla minaccia jihadista durata anni con tutte le violenze e le distruzioni subite, che hanno costretto le famiglie a riparare per lo più in Kurdistan.

Eppure l’esodo del cristiani in Iraq inizia ben prima del 2013. Erano circa 1milione e mezzo nel 2003, poco più del 6% della popolazione totale. Dopo la guerra d’Iraq il numero è sceso fino a 450.000. Con l’arrivo di Daesh sono stati ulteriormente decimati.

Ma questo sarà per loro un dicembre speciale: lo ricorderanno per sempre in Iraq come il Natale del ritorno. Certo non è così per tutti i profughi, ma per molti sì.

Dopo la definitiva dipartita delle milizie terroristiche (che nel frattempo hanno dato alle fiamme chiese, case e infrastrutture), i cristiani potranno riprendere possesso della loro terra.

Sebbene la desolazione sia ancora la nota dominante nella piana di Ninive e i villaggi sono poco più che un ammasso di macerie.

Per solidarietà con i cristiani quest’anno il 25 dicembre sarà festivo nella Provincia di Kirkuk, che è la zona contesa tra Baghdad e il Kurdistan iracheno.

Non è dato sapere con certezza cosa attende le famiglie irachene rientrate: la loro libertà potrebbe essere “condizionata” e soggetta a “protezione”.

Ancora una volta una libertà dimezzata. L’Iraq nel suo insieme avrebbe bisogno di una garanzia per il rispetto dei diritti di tutti, a 360° a prescindere dall’appartenenza religiosa.

L’assenza dei cristiani – come minoranza in Iraq, come anche gli Yazidi – ha messo in questi anni a rischio anche la libertà e la sicurezza della maggioranza di religione islamica.

«Durante l’occupazione ad opera di Daesh – ha spiegato Carl Anderson del gruppo cristiano Knights of Columbus ad un panel con le Nazioni Unite – sebbene le minoranze rischiassero di venire completamente eliminate, anche la maggioranza della popolazione irachena è stata vittimizzata, poiché non aveva più diritti».

E’ sui diritti civili di ognuno che bisognerà puntare in futuro, più che sul rispetto delle sole minoranze religiose.

Racconta il National Catholic Register che la famiglia di Yohanna Towaya, cattolica siriaca, è ritornata a Qaraqosh a settembre scorso, dopo anni di latitanza. E ha ritrovato la casa di famiglia quasi intatta; Per molti altri invece non è stato così.

Le case non ci sono più. I tanti conventi, le case del clero, le parrocchie, sono rasi al suolo. Le bande armate dell’Isis hanno marchiato a sangue ogni simbolo religioso della zona.

Le case della popolazione di religione cristiana (qui ci sono soprattutto i cristiani della Chiesa cattolica caldea) venivano segnate con una N sui muri esterni dell’abitazione – la N di Nazareno.

Era il segno che quella famiglia e quella casa andavano distrutte.

Un vero e proprio genocidio che non si è compiuto del tutto grazie alla fuga e all’accoglienza che le migliaia di famiglie hanno trovato al confine con la Siria.

Grazie ad un progetto di raccolta fondi promosso da Aiuto alla Chiesa che Soffre, anche le suore domenicane di Santa Caterina da Siena potranno finalmente riavere il loro convento a Qaraqosh, in Iraq.

ACS promuove in questi giorni una specifica raccolta fondi a sostegno della ricostruzione del convento distrutto dall’ISIS durante l’occupazione della Piana di Ninive.

La struttura esisteva dal 1974 e una volta riedificata potrà ospitare circa 20 suore.

In questi anni, sfollate tra gli sfollati, le suore sono rimaste accanto alla popolazione, sostenendo i cristiani e pensando soprattutto ai bambini.