Consiglio Pontificio per il dialogo interreligioso
Il Dialogo e l’annuncio
Riflessioni e orientamenti sul dialogo interreligioso
e sull’Annuncio del Vangelo di Gesù Cristo

 

 

Introduzione

 

25 anni dopo la “Nostra aetate”

 

 

 

La dichiarazione del Concilio Vaticano Secondo sui rapporti tra la chiesa e altre religioni è stata promulgata 25 anni dopo la “Nostra Aetate”. Il documento ha sottolineato l’importanza del dialogo interreligioso. Allo stesso tempo, esso ha ribadito il fatto che la chiesa è moralmente vincolata al dovere di annunciare senza esitazioni Cristo, la via, la verità e la vita, in cui ogni persona trova il suo compimento (cfr NA 2)

 

Il dialogo e la missione

 

 

 

Per incoraggiare la crescita del lavoro del dialogo, Papa Paolo VI ha creato nel 1964 il Segretariato per i Non – Cristiani, che ha assunto recentemente il nome di Consiglio Pontificio per il Dialogo Interreligioso. Dopo la sua Assemblea Plenaria del 1984, il Segretariato ha pubblicato un documento intitolato. “L’atteggiamento della Chiesa nei confronti dei seguaci delle altre religioni: riflessioni e orientamenti sul dialogo e sulla missione”. Questo documento sancisce la missione evangelizzatrice della chiesa è una “realtà singola ma complessa e articolata”. Esso indica le componenti principali di tale missione: presenza e testimonianza; impegno per lo sviluppo sociale e la liberazione sociale dell’uomo; vita liturgica, preghiera e contemplazione; dialogo interreligioso; infine, annuncio e catechesi (2). L’annuncio e il dialogo sono considerati entrambi, ciascuno nel suo campo specifico, componenti fondamentali e forme autentiche della stessa missione evangelizzatrice della chiesa. Essi sono entrambi orientati verso la comunicazione della verità salvifica.

 

3. Il dialogo e l’annuncio

 

Il presente documento fornisce un’ulteriore trattazione di queste due componenti. In primo luogo, esso espone le caratteristiche di ciascuna, per poi esaminare le loro mature relazioni. Il dialogo viene trattato per primo non perché abbia la priorità sull’annuncio, ma semplicemente perché esso è l’interesse principale del Consiglio Pontificio per il Dialogo Interreligioso che ha iniziato la preparazione del documento. Il documento in questione è stato discusso per la prima volta durante l’Assemblea Pubblica del Segretariato nel 1987. Le osservazioni che sono state fatte allora, insieme ad (ulteriori) consultazioni successive, hanno portato a questo testo, che è stato ultimato e adottato dall’Assemblea Plenaria del Consiglio Pontificio per il Dialogo Interreligioso e della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Entrambi i dicasteri offrono queste riflessioni alla Chiesa Universale.

 

4. Argomenti di attualità

 

Tra le ragioni che hanno reso il rapporto tra il dialogo e l’annuncio un tema rilevante per lo studio, possono essere citati i seguenti:

 

a) Nel mondo di oggi, caratterizzato dalla velocità delle comunicazioni, dalla mobilità delle persone e dall’interdipendenza, vi è una nuova presa di coscienza di un pluralismo religioso. Non si può affermare che le religioni esistono o sopravvivono: incerti casi, esse forniscono una chiara

 

dimostrazione di rinascita. Esse continuano a ispirare e a guidare le vite di milioni dei loro aderenti. Nell’attuale contesto di pluralità religiosa, il ruolo importante che viene svolto dalle tradizioni religiose non può essere ignorato.

 

b) Il dialogo interreligioso tra i Cristiani e seguaci di altre tradizioni religiose, come era stato previsto dal Concilio Vaticano Secondo, viene compreso soltanto gradualmente. La sua pratica effettiva rimane esistente in alcuni luoghi. La situazione è diversa da Paese a Paese. Questa diversità può essere determinata dalla consistenza numerica della Comunità Cristiana da quali altre tradizioni religiose siano presenti nel luogo, e da tanti altri fattori culturali, sociali e politici. Un’analisi più approfondita della questione può aiutare a stimolare il dialogo.

 

c) La pratica del dialogo suscita fraintendimenti in molte persone. Vi sono alcuni che sembrerebbero pensare, erroneamente, che nella missione della Chiesa di oggi il dialogo debba semplicemente rimpiazzare l’annuncio. All’altro estremo si trovano quanti non riescono a riconoscere il valore del dialogo interreligioso. Alcuni, perplessi, chiedono: se il dialogo interreligioso è diventato così importante, l’annuncio del vangelo ha perso la sua urgenza? Lo sforzo di introdurre di introdurre le persone all’interno della comunità della Chiesa è divenuto secondario o addirittura superfluo? Vi è pertanto la necessità di una guida dottrinale e pastorale, cui questo documento vuole contribuire, senza pretendere di rispondere completamente alle complesse domande che sorgono in questo contesto. Mentre questo testo si trovava nelle sue ultime fasi di preparazione, il Santo Padre, Papa Giovanni Paolo II, ha donato alla Chiesa la sua enciclica “Redemptoris Missio”, nella quale egli affianca queste domande e altre ancora. Il presente documento espone in un dettaglio particolareggiato l’insegnamento dell’Enciclica sul dialogo e sulle relazioni con l’annuncio (cfr RM 55-57). Esso deve essere per tanto letto alla luce di questa Enciclica.

 

5. Il giorno della preghiera per la Pace ad Assisi

 

La Giornata Mondiale di Preghiera per la pace, tenutasi ad Assisi il 27 ottobre 1986 su iniziativa di Papa Giovanni Paolo II, fornisce un altro spunto di riflessione. In quel giorno in quello successivo e in maniera particolare nel suo discorso rivolto nel mese di dicembre ai cardinali e alla Curia Romana, il Santo Padre ha spiegato il significato della celebrazione di Assisi. Egli ha sottolineato la necessità fondamentale del genere umano tanto nelle sue origini quanto nel suo destino ultimo e il ruolo della Chiesa come segno effettivo di questa unità. Egli ha mostrato chiaramente e con clemenza il significato del dialogo interreligioso, riaffermando allo stesso tempo il dovere morale della Chiesa di annunciare Gesù Cristo al mondo (3).

 

6. L’esortazione di Giovanni Paolo II

 

L’anno successivo, nel suo discorso ai membri dell’Assemblea Plenaria del Consiglio Pontificio per il Dialogo Interreligioso, Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato: “Tanto il dialogo interreligioso quanto l’annuncio dell’opera salvifica di Dio per mezzo del Nostro Signore Gesù Cristo è componente della missione della Chiesa … Non si pone assolutamente la questione di sceglierne una ignorando o tralasciando l’altra“ (4). La linea guida data dal Papa ci esorta a non prestare ulteriore attenzione a questo tema.

 

7. Ulteriori spunti per affrontare il tema

 

Questo documento è rivolto a tutti i Cattolici, in maniera particolare a tutti quelli che hanno un ruolo di guida all’interno della propria comunità o che sono impegnati nell’opera della formazione. Esso è offerto altresì alla considerazione dei Cristiani appartenenti alle altre Chiese o Comunità Ecclesiastiche che si trovano a riflettere sugli stessi argomenti che esso abbraccia (5). Ci si augura che esso riceverà attenzione anche da parte dei seguaci di altre tradizioni religiose.

 

Prima di procedere, sarà utile chiarificare i termini che vengono utilizzati in questo documento.

 

8. Evangelizzazione

 

La missione di evangelizzazione, o più semplicemente evangelizzazione, si riferisce alla missione della Chiesa nella sua totalità. Nell’Esortazione Apostolica “Evangelii Nuntiandi” il termine evangelizzazione ricopre molteplici significati. Esso significa “portare la Buona Novella in tutte le aree dell’umanità e, tramite il suo impatto, trasformare l’umanità stessa dall’interno, rendendola nuova” (EN 18). Così, per mezzo dell’evangelizzazione, la Chiesa “ mira a convertire, soltanto attraverso il potere divino del Messaggio che essa proclama, le coscienze sia personali sia collettive degli uomini, le attività in cui essi sono impegnati, i loro modi di vita, e i situazione attuali in cui essi vivono “ (EN 18). La Chiesa realizza la sua missione evangelizzatrice mediante una serie di attività: è per questo motivo che il concetto di evangelizzazione è molto vasto. Già nell’ “Evangelii Nuntiandi”, il termine evangelizzazione si presta anche più specificatamente a designare “l’annuncio chiaro e privo di ambiguità del Signore Gesù” (EN 22). L’Esortazione sancisce che “questo annuncio – kerygma, predicazione o catechesi – occupi un ruolo così importante nell’ evangelizzazione da divenire spesso sinonimo di essa, anche se esso rimane soltanto un aspetto dell’ evangelizzazione” (EN 22). In questo documento il termine missione evangelizzatrice è utilizzato per indicare l’evangelizzazione nel senso più vasto del termine, mentre il suo significato più specifico è espresso dal termine annuncio.

 

9. Il dialogo

 

Il termine dialogo può essere compreso in differenti modi. In primo luogo, a livello puramente umano, esso significa “comunicazione reciproca”, che conduce ad un obiettivo comune o a un livello più profondo, alla comunione interpersonale. Secondo poi, il dialogo può essere considerato un atteggiamento di rispetto e amicizia, permea o dovrebbe permeare tutte quelle attività della Chiesa che costituiscano la sua missione evangelizzatrice, ciò può essere appropriatamente definito “lo spirito del dialogo”. In terzo luogo, nel contesto del pluralismo religioso, dialogo significa “ogni tipo di relazione interreligiosa positiva e costruttiva con individui e comunità appartenenti ad altre fedi, che sia mirato alla muta comprensione e al mutuo arricchimento” (6), nel pieno rispetto della verità e della libertà. Esso comprende sia la testimonianza, sia l’esplorazione delle rispettive convinzioni religiose. È in questo terzo senso che il presente documento utilizza il termine dialogo come una delle componenti fondamentali della missione evangelizzatrice della Chiesa.

 

10. L’annuncio

 

L’annuncio è la comunicazione del messaggio del Vangelo, del Mistero della salvezza realizzato da Dio per tutti in Gesù Cristo per o messo dallo Spirito Santo. Esso è un invito ad abbracciare la fede in Gesù Cristo e ad entrare tramite battesimo, nella comunità di credenti che è la chiesa. L’annuncio può essere (cfr Av. 2,5-41), o una semplice conversazione privata (cfr Av. 8,30-38). Esso confluisce naturalmente nella catechesi che mira a rendere più profonda la fede. L’annuncio e il fondamento, il centro e il vertice dell’evangelizzazione (cfr EN 27).

 

11. La conversione

 

Nell’idea della conversione è racchiuso generalmente il concetto di un movimento verso Dio, “il ritorno umile e penitente del cuore a Dio nel desiderio di sottomettere più generosamente a Lui la propria vita” (7). Più specificatamente, la conversione può far riferimento a un cambiamento di appartenenza religiosa, in maniera particolare all’adesione alla fede cristiana. Quando il termine “conversione” verrà utilizzato in questo documento, il contesto mostrerà in quale senso debba essere inteso.

 

12. Religioni e tradizioni religiose

 

I termini religioni o tradizioni religiose sono utilizzati qui in senso generico e analogico. Essi comprendono quelle religioni che, insieme a quella cristiana, fanno risalire la loro fede a quella di Abramo (8), come anche le tradizioni religiose dell’Asia, dell’Africa e di ogni altro luogo.

 

13. Nuovi movimenti religiosi

 

Il dialogo interreligioso deve estendersi a tutte le religioni e ai loro seguaci. Questo documento, tuttavia, non tratterà il dialogo con i seguaci “Nuovi Movimenti Religiosi”, a causa della grande diversità di situazioni che questi movimenti presentano e la necessità di un ulteriore discernimento dei valori umani e religiosi che essi contengono (9).

 

 

1. IL DIALOGO INTERRELIGIOSO

 

1. UN APPROCCIO CRISTIANO ALLE TRADIZIONI RELIGIOSE

 

14. Valutazione positiva delle tradizioni religiose

 

Un giudizio equo delle altre tradizioni religiose presuppone normalmente uno stretto contatto con esse, il che comporta – al di là della conoscenza teorica – un’esperienza pratica di dialogo interreligioso con i seguaci di tali tradizioni, tuttavia, è anche vero che una valutazione teologica corretta di queste tradizioni, per lo meno in termini generali, è un presupposto necessario per il dialogo interreligioso. Queste tradizioni devono essere avvicinate con una grande sensibilità, tenendo sempre conto dei valori sperimentali e umani che sono racchiuse in esse. Esse esigono il nostro rispetto poiché, nel corso dei secoli, hanno reso testimonianza dei (loro) grandi sforzi di trovare risposte ai profondi misteri della condizione umana” (NA 1), e hanno dato espressione all’esperienza religiosa e continuano a farlo tuttora.

 

15. Orientamenti del Vaticano II

 

Il Concilio Vaticano II ha fornito le linee guida di questa valutazione positiva. Il significato esatto di quanto è affermato dal Concilio necessita un’analisi attenta e accurata. Il Concilio riafferma la dottrina tradizionale secondo la quale la salvezza in Gesù Cristo è – in modo misterioso – una realtà aperta a tutte le persone di buona volontà. Un’enunciazione evidente di questa convinzione basilare del Vaticano II si trova nella Costituzione “Gaudium et Spes”. Il Concilio insegna che Cristo, il Nuovo Adamo, tramite il mistero della sua incarnazione, morte e resurrezione, lavora all’interno di ogni essere umano per produrre in esso il rinnovamento interiore.

 

“Ciò rimane una verità non soltanto per i cristiani, ma anche per tutte le persone di buona volontà, nei cui cuori la Grazia è attiva in modo irreversibile. Poiché, dal momento che Cristo è morto per tutti, e dal momento che tutti sono di fatto chiamati allo stesso unico destino, che è divino, noi dobbiamo credere fermamente al fatto che lo Spirito Santo offre a tutti la possibilità di essere resi partecipi, in un modo noto a Dio, del mistero pasquale” (GS 22).

 

16. Gli effetti della Grazia divina

 

Il Concilio va ancora oltre. Facendo propria la visione e la terminologia di alcuni primi Padri della Chiesa, la “Nostra Aetate” parla della presenza, in queste tradizioni, di “un raggio di quella verità che illumina tutti” (NA 2). La “Ad Gentes”riconosce la presenza dei “semi del Verbo”, e mette in risalto i doni che un Dio generoso ha distribuito presso tutte le nazioni“ (AG 11). Inoltre, la “Lumen Gentium” fa riferimento al bene che “è seminato”non solo “nelle menti e nei cuori”, ma anche “nei riti e costumi dei popoli” (LG 17).

 

17. L’azione dello Spirito Santo

 

Queste poche citazioni sono già sufficienti per mostrare come il Concilio abbia apertamente riconosciuto la presenza di valori positivi non solo nella vita religiosa dei singoli credenti di altre tradizioni religiose, ma anche nelle tradizioni religiose stesse di cui essi appartengono. Esso attribuisce questi valori alla presenza attiva di Dio per mezzo del Suo Verbo, mettendo in rilievo anche l’azione universale dello Spirito: “Senz’alcun dubbio”, afferma la “Ad Gentes”, “lo Spirito Santo era al lavoro nel mondo prima ancora che Cristo fosse glorificato” (No. 4). Da ciò si può vedere come questi fattori, come preparazione del Vangelo (cfr LG 16), hanno svolto e svolgono tuttora un ruolo provvidenziale nella economia divina della salvezza. Questo riconoscimento spinge la Chiesa ad entrare in “dialogo e collaborazione” (NA 2 – cfr 65 92 – 93): “I cristiani, pur continuando a testimoniare con la loro fede e il loro modo di vivere, devono riconoscere, preservare e incoraggiare il loro bene spirituale e morale che si trova presso i non – cristiani, nonché i loro valori sociali e culturali” (NA 2).

 

18. Il ruolo dell’attività della Chiesa

 

Il Concilio non è ignaro della necessità dell’attività missionaria della Chiesa finalizzata a perfezionare in Cristo questi elementi positivi trovati nelle altre religioni. Il Concilio sancisce senza ambiguità: “ogni verità e grazia vengono trovate presso le nazioni come una sorta di presenza segreta di Dio, vengono liberate da questa attività da ogni macchia di male, e vengono ricondotte a Cristo, il loro Artefice, il quale sbaraglia il potere del diavolo ed estromette la multiforme malizia del vizio. In questo modo, ogni bene seminato nelle menti e nei cuori degli uomini o nei riti e nelle culture peculiari ai vari popoli, non viene perduto, e anzi, ancor più, esso e guarito, reso nobile e perfezionato per la gloria di Dio, la sconfitta del demonio e la felicità degli uomini” (AG 9).

 

19. La storia dell’azione salvifica di Dio

 

L’Antico Testamento testimonia che, fin dall’inizio della creazione Dio ha stabilito un Patto (una Alleanza) con tutte le genti (Gn 1,11). Ciò sta a dimostrare che vi è una sola storia di salvezza per l’intera umanità. Il Patto (l’Alleanza) con Noè, l’uomo che “camminava con Dio” (Gn 6,9), è un simbolo dell’intervento divino nella storia delle nazioni. I personaggi non-israelitici dell’Antico Testamento sono considerati, nel Nuovo, appartenenti a tale storia della salvezza. Abele, Enoch e Noè sono proposti come modelli di fede (cfr Eb 11, 4-7). È questa storia della salvezza che vede il suo compimento finale in Gesù Cristo, nel quale è sancita la nuova e definitiva Alleanza per tutti popoli.

 

20. Oltre i confini del popolo eletto

 

La conoscenza religiosa di Israele è caratterizzata da una profonda consapevolezza del proprio status di Popolo Eletto di Dio. Questa elezione accompagnata da un processo di formazione e da continue esortazioni a preservare la purezza del monoteismo, costituisce una missione. I profeti insistono continuamente sulla lealtà e sulla fedeltà all’Unico vero Dio e parlano del Messia promesso. Questi profeti, in maniera particolare al tempo dell’Esilio, forniscono una prospettiva universalistica, dal momento che la salvezza di Dio viene vista da loro estendersi oltre e attraverso Israele a tutte le nazioni. Così, Isaia preannuncia che negli ultimi giorni tutte le nazioni affluiranno a la casa di Dio, e diranno: “Venite, andiamo alla montagna del Signore, alla casa del Dio di Giacobbe; possa Egli insegnarci le Sue vie e possiamo noi camminare suoi sentieri!” (Is 52,10). Anche nella letteratura sapienziale, che resa testimonianza degli scambi culturali tra Israele e i popoli suoi vicini, viene chiaramente affermata l’azione di Dio all’interno dell’intero universo. Essa va oltre i confini del Popolo Eletto per arrivare a toccare tanto la storia delle nazioni quanto le vite dei singoli individui.

 

21. La missione universale di Gesù

 

Passando al Nuovo Testamento, osserviamo che Gesù professa di essere venuto a radunare le pecore perdute di Israele (cfr Mt 15,24) e proibisce ai suoi discepoli, per un certo periodo, di rivolgersi ai Gentili (cfr Mt 10,5). Tuttavia, Egli dimostra un atteggiamento di apertura nei confronti degli uomini e delle donne che non appartengono al popolo eletto di Israele: Egli entra in dialogo con loro e riconosce il bene che è in essi; si meraviglia nella prontezza a credere del centurione, affermando di non aver mai trovato una fede così grande in Israele (cfr Mt 8,5-13); compie miracoli di guarigione degli “stranieri” (cfr Mc 7,24-30; Mt 15,21-28), e questi miracoli sono dei segni della venuta del Regno; conversa con la Samaritana e le parla di un tempo in cui l’adorazione non era ristretta ad alcun luogo particolare, in cui tutti i credenti “ adoreranno il Padre in spirito e verità” (Gv 4,23). Gesù apre in questo modo degli orizzonti nuovi situati al di là della vera realtà locale, estesi a una universalità dalle caratteristiche tanto Cristologiche quanto Pneumatologiche; poiché il nuovo santuario e ora il corpo del Signore Gesù (cfr Gv 2,21), che il Padre e innalzato nel potere dello Spirito.

 

22. L’annuncio del regno di Dio

 

Il messaggio di Gesù, provato dalla testimonianza Sua stessa vita, e quindi quello che attraverso la Sua persona il Regno di Dio fa il suo ingresso all’interno di tutto il mondo. All’inizio del suo pubblico ministero, nella Gallilea delle genti, Egli può affermare: “Il tempo è giunto, il Regno di Dio e a portata di mano”. Egli indica anche le condizioni per poter entrare nel Regno: “Pentitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15). Questo messaggio non è rivolto solo alla cerchia limitata di quanti appartengono al popolo eletto: Gesù, infatti, annuncia esplicitamente l’ingresso dei Gentili nel Regno di Dio (cfr Mt 8,10-11; Mt 11,20-24, Mt 25,31-32,34), un Regno che deve essere considerato allo storico escatologico. Si tratta del Regno tanto del Padre, per la venuta era necessario pregare (cfr Mt 6,10), quanto del Figlio, dal momento che Gesù dichiara apertamente di essere Re (cfr Gv 18,33-37). Infatti, in Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, noi abbiamo la pienezza della rivelazione e della salvezza e il compimento dei desideri delle nazioni.

 

23. La chiamata di tutti i popoli

 

I riferimenti alla vita religiosa dei Gentili e alle loro tradizioni religiose all’interno del Nuovo Testamento potrebbero sembrare contrastanti, ma possono essere anche considerate complementari. Da una parte troviamo il verdetto negativo della Lettera ai Romani contro coloro che non hanno riconosciuto Dio nella Sua creazione e sono caduti nella idolatria e nella depravazione (cfr RM 1,18-32); d’altro canto, gli Atti degli Apostoli testimoniano l’atteggiamento positivo ed aperto di Paolo nei confronti nei Gentili, tanto nel suo discorso ai Licaoni (cfr At 14,8-18) quanto nel suo discorso dell’Aereopago ad Atene, nel quale egli ha lodato il loro spirito religioso ed ha loro annunciato Colui che essi, senza conoscerlo, riverivano come “Dio ignoto” (cfr At 17,22-34). Non bisogna dimenticare neanche che la tradizione sapienziale viene applicata nel Nuovo Testamento a Gesù Cristo, Sapienza di Dio, la Parola di Dio che illumina ogni uomo (cfr Gv 1,9) e che, con la sua Incarnazione pianta la sua tenda tra di noi (cfr Gv 1,14).

 

24. I Padri dei primi secoli

 

Anche la tradizione post – biblica contiene dati contrastanti. Si possono estrapolare numerosi giudizi negativi sul mondo religioso del loro tempo dagli scritti dei Padri. Ma le antiche tradizioni mostrano una notevole apertura. Molti Padri della Chiesa attingono alla tradizione sapienziale riflessa nel Nuovo Testamento. In particolare, scrittori del secondo secolo e della prima parte del terzo secolo come Giustino, Ireneo e Clemente d’Alessandria, più o meno esplicitamente, parlano dei “semi” piantati dal verbo di Dio nelle nazioni (10), tanto che si può dire che secondo loro Dio a già manifestato sé stesso, in maniera incompleta, prima al di fuori della rivelazione cristiana. Questa manifestazione del “Logos” è una primizia della piena rivelazione in Gesù Cristo cui essa tende.

 

25. La teologia della storia

 

I più antichi Padri della Chiesa forniscono quella che può essere definita teologia della storia. La storia diviene storia della salvezza, dal momento che attraverso di essa Dio si manifesta progressivamente e comunica con l’umanità. Questo processo di manifestazione e comunicazione divina raggiunge il suo apice nell’incarnazione del Figlio di Dio in Gesù Cristo. Per questo motivo Ireneo distingue quattro “alleanze” offerte da Dio al genere umano: in Adamo, in Noè, in Mosè ed in Gesù Cristo (11). Si può affermare che questa corrente patristica, la cui importanza non deve essere sottovalutata, culmini in Agostino, il quale, nelle sue opere più tarde, ammesse in evidenza la presenza universale e l’influenza del mistero di Cristo anche prima dell’Incarnazione.Per completare il suo piano di salvezza, Dio nel suo Figlio si è offerto all’intera umanità. Per cui, per un certo senso, la Cristianità esiste già “all’inizio del genere umano” (12)

 

26. Il contributo del Magistero

 

È a questa visione della Chiesa caratteristica del primissimo Cristianesimo che il Concilio Vaticano Secondo ha fatto riferimento quello di Papa Giovanni Paolo II – è andato ancora oltre nella stessa direzione. In primo momento il Papa ha riconosciuto la presenza operativa dello Spirito Santo nella vita dei membri delle altre tradizioni religiose, come nel passo della “Redemptor Hominis” in cui egli parla della loro “fede salda” come di “un effetto dello Spirito di verità operante al di fuori dei confini visibili del Corpo Mistico “ (No. 6). In “Dominum et Vivificantem”, il Pontefice compie un passo ulteriore, affermando l’azione universale dello stesso Spirito oggi, anche al di fuori del corpo visibile della Chiesa (cfr No. 53).

 

27. Giovanni Paolo II e l’approccio alle altre tradizioni religiose

 

Nel suo discorso rivolto alla Curie Romana dopo la Giornata Mondiale della Preghiera per la Pace ad Assisi, Papa Giovanni Paolo II ha sottolineato ancora una volta la presenza universale dello Spirito Santo, sancendo che “ogni persona che prega con l’atteggiamento di autenticità è ispirata dallo Spirito Santo, che è misteriosamente presente nel cuore di ognuno”, Cristiano o meno. Ma di ancora nuovo nello stesso discorso, il Papa, andando oltre la prospettiva individuale, ha articolato gli elementi principali che devono essere considerati le basi teologiche per un approccio positivo alle altre tradizioni religiose e alla pratica del dialogo interreligioso.

 

28. Il mistero dell’unità dell’intero genere umano

 

Al primo punto è situato il fatto che l’intera umanità forma una sola famiglia, poiché tutti gli uomini e le donne hanno un’origine comune, essendo stati creati a immagine di Dio. Parallelamente, tutti sono chiamati allo stesso destino comune, vale a dire la pienezza della vita in Dio. Inoltre, vi è un solo piano di salvezza per l’umanità, con il suo centro in Gesù Cristo, il quale nella sua incarnazione “si è unito in un certo qual modo ad ogni persona” (RH 13; cfr 65 22,2). Infine, è necessario menzionare l’attiva presenza dello Spirito Santo nella vita religiosa dei membri delle altre tradizioni religiose. Da tutti questi elementi il Papa arriva a definire il “mistero dell’unità”, che è stato manifestato chiaramente ad Assisi, “nonostante le differenze tra le confessioni religiose” (13).

 

29. L’unità della salvezza

 

Da questo mistero dell’unità scaturisce il fatto che tutti gli uomini e le donne che sono salvati partecipano sia pure in maniera differente tra loro – allo stesso mistero di salvezza in Gesù Cristo per mezzo del Suo Spirito. I Cristiani conoscono già questa realtà grazie alla loro fede, mentre gli altri rimangono inconsapevoli del fatto che Gesù Cristo sia la fonte della loro salvezza. Il mistero della salvezza li raggiunge, in una maniera nota a Dio, tramite l’azione invisibile dello Spirito del Cristo. Dal punto di vista concreto, sarà nella pratica sincera di ciò che è buono nelle proprie tradizioni religiose e seguendo la voce della propria coscienza che i membri delle altre religioni risponderanno positivamente alla chiamata di Dio e riceveranno la salvezza in Gesù Cristo, anche se essi non lo ritengono o non lo riconoscono come il loro salvatore (cfr AG 3,9,11).

 

30. La necessità del discernimento

 

I frutti dello Spirito di Dio nella vita personale degli individui, siano essi Cristiani o meno, sono facilmente discernibili (cfr Gal 5,22- 23). Individuare in altre tradizioni religiose elementi di grazia in grado di sostenere la risposta positiva dei loro membri alla chiamata di Dio è più difficile: ciò richiede un discernimento per il quale bisogna stabilire dei criteri. Gli individui sinceri marcati dallo Spirito di Dio hanno certamente messo il loro sforzo personale nell’elaborazione e nello sviluppo delle loro rispettive tradizioni religiose. Ciò non implica, tuttavia, che ogni cosa che si trova in esse sia buona.

 

31. Valori e contraddizioni

 

Affermare che le altre tradizioni religiose includono in sé stesse elementi di grazia non implica il fatto che ogni cosa in esse sia il risultato della grazia, poiché il peccato è sempre stato all’opera nel mondo, e pertanto le tradizioni religiose, nonostante i loro valori positivi, riflettono i limiti dello spirito umano, talvolta incline a scegliere il male. Un approccio aperto e positivo alle altre tradizioni religiose non può sorvolare contraddizioni che possono esserci tra di esse e la rivelazione cristiana. Laddove necessario, si devono riconoscere le incompatibilità tra alcuni elementi fondamentali della religione cristiana e alcuni aspetti di tali tradizioni.

 

32. Il dialogo e la purificazione

 

Ciò significa che i Cristiani, pur entrando in dialogo e mentalità aperta con i seguaci delle altre tradizioni religiose, devono tuttavia informarsi presso di loro, con spirito pacifico, dei contenuti della loro fede. Ma anche i Cristiani devono essere disposti ad essere messi in discussione: nonostante la pienezza della rivelazione in Dio in Gesù Cristo, il modo in cui i Cristiani a volte comprendono e praticano la propria religione può aver bisogno di purificazione.

 

2. IL RUOLO DEL DIALOGO INTERRELIGIOSO ALL’INTERNO DELLA MISSIONE EVANGELIZZATRICE DELLA CHIESA

 

33. La Chiesa, sacramento universale di salvezza

 

La Chiesa è stata valutata da Dio e istituita dal Cristo per essere, nella pienezza dei tempi, il segno e lo strumento del piano divino di salvezza (cfr LG 1), il centro del quale è il mistero di Cristo. Essa è il “sacramento universale di salvezza” (LG 48), ed è “necessaria per la salvezza” (LG 14). Lo stesso Signore Gesù inaugurato la missione della Chiesa “annunciando la buona novella, vale a dire l’avvento del Regno di Dio” (LG 5).

 

34. I semi e gli inizi del Regno

 

La relazione tra la Chiesa e il Regno è misteriosa e complessa. Come insegna il Vaticano II, “il Regno è rivelato innanzitutto nella persona stessa di Cristo. “La Chiesa, che ha ricevuto dal Signore Gesù la missione di annunciare il Regno, già “è, sulla terra, il seme è l’inizio di questo Regno” (LG 5). Pertanto il Regno è inseparabile dalla Chiesa, poiché entrambi sono inseparabili dalla persona e dall’opera di Gesù stesso… Non è pertanto possibile separare la Chiesa dal Regno come se la prima appartenesse esclusivamente al Regno imperfetto della storia e il secondo fosse il perfetto compimento escatologico del piano divino di salvezza” (14).

 

35. Le tradizioni religiose e la Chiesa

 

Alla Chiesa, come sacramento nel quale il Regno di Dio è presente “nel mistero”, fanno riferimento o si orientano (“ordinantur”) (cfr LG 16) i membri delle altre tradizioni religiose, i quali, dal momento che rispondono alla chiamata di Dio cosi come essa viene percepita dalla loro coscienza, sono salvati in Gesù Cristo e partecipano già, pertanto, in un certo qual modo, alla realtà espressa dal Regno. La missione della Chiesa consiste nel contribuire alla crescita del “Regno del nostro Signore e del suo Cristo” (Rm 11,15), al cui servizio essa si pone. Una parte del suo ruolo consiste nel riconoscere che la realtà embrionale del Regno si può trovare anche al di fuori di confini di se stessa, ad esempio nei cuori dei seguaci delle altre tradizioni religiose, nella misura in questi vivono i valori evangelici e sono aperti all’azione dello Spirito. Si deve ricordare tuttavia che questa è una realtà embrionale, che ha bisogno di trovare il suo compimento essendo posta in relazione con il Regno del Cristo già presente all’interno della Chiesa ma che si realizzerà soltanto nel mondo a venire.

 

36. La Chiesa pellegrina

 

La Chiesa, sulla terra, è sempre in pellegrinaggio. Mentre essa è santa per divina istituzione, i suoi membri non sono perfetti; essi portano il marchio dei loro limiti umani. Di conseguenza, la trasparenza della Chiesa come sacramento di salvezza è offuscata. Per questo motivo la Chiesa stessa, “nella misura in cui essa è un’istituzione di uomini qui sulla terra”, e non soltanto i suoi membri, si trova nella necessità costante di rinnovamento e di riforma (cfr Ur 6).

 

37. Verso la pienezza della verità divina

 

Il Concilio ha insegnato, a proposito della Rivelazione divina, che “la verità più profonda che questa rivelazione ci dà riguardo a Dio e alla salvezza dell’uomo sgorga da Cristo, che è sia il mediatore sia la somma della rivelazione” (Dv 2). Fedeli al comandamento ricevuto da Cristo stesso, gli apostoli hanno trasmesso questa Rivelazione. E “la Tradizione che ci viene dagli apostoli” già “compie dei progressi all’interno della Chiesa, con l’aiuto dello Spirito Santo. Vi è una crescita tale” (Dv 8). Ciò avviene grazie allo studio, all’esperienza spirituale all’insegnamento dei vescovi che hanno ricevuto il carisma certo della verità. Così, la Chiesa “avanza sempre più verso la pienezza della verità divina, finche le parole di Dio saranno realizzate in essa” (Dv 8). Ciò non contraddice in alcun modo la divina istituzione della chiesa né la pienezza della Rivelazione di Dio in Gesù Cristo, nel quale essa fonda la propria fede.

 

38. Il dialogo della salvezza

 

Avendo questo tipo di sfondo diventa più facile individuare perché e in che senso il dialogo interreligioso sia una componente integrale della missione evangelizzatrice della chiesa. Il fondamento in cui si basa l’impegno della chiesa al dialogo non è meramente antropologico ma in primo luogo teologico. Dio, in un dialogo che si protrae da lungo tempo, ha offerto e continua ad offrire la salvezza all’umanità. Nella pienezza dell’iniziativa divina, anche la chiesa deve entrare in un dialogo di salvezza con tutti gli uomini e le donne.

 

39. Metodi di presenza, di rispetto e di amore nei confronti di tutti

 

Papa Paolo VI lo ha insegnato chiaramente nella sua prima Enciclica “Ecclesiam Suam”. Anche Papa Giovanni Paolo II ammesso in rilievo la chiama della chiesa al dialogo interreligioso e da assegnato ad esso lo stesso fondamento. Rivolgendosi all’Assemblea Plenaria del Consiglio Pontificio per il Dialogo Interreligioso, nel 1984, il Papa a dichiarato: “il dialogo (interreligioso) è fondamentale per la chiesa, che è chiamata a collaborare al piano di Dio con i suoi metodi di presenza, di rispetto e di amore nei confronti di tutte le persone”. Egli a quindi richiamato l’attenzione su un passo della “Ad Gentes” : “i discepoli di Cristo, strettamente uniti agli uomini nella loro vita e nel loro lavoro, sperano di rendere agli altri una autentica testimonianza di Cristo e di lavorare per questa salvezza, anche quando non siano in grado di annunciare Cristo nella sua maniera più piena“ (AG 12). Introducendo questo passo, il Pontefice ha detto : “il dialogo trova il suo posto all’interno della missione salvifica della Chiesa; per questo motivo esso è un dialogo di salvezza” (15).

 

40. Collaborare con lo Spirito Santo

 

In questo dialogo di salvezza, i Cristiani e gli altri credenti sono chiamati a collaborare: con lo Spirito del Signore Risorto che è universalmente presente ed attivo. Il dialogo interreligioso non mira soltanto alla mutua comprensione e a relazioni amichevoli. Esso raggiunge un livello molto più profondo, quello dello spirito, in cui lo scambio e la condivisione consistono in una mutua testimonianza della propria fede e una esplorazione comune delle proprie rispettive convinzioni religiose. Nel dialogo, i Cristiani e gli altri credenti sono invitati ad approfondire il loro impegno religioso, per rispondere con sincerità sempre più grande alla chiamata personale di Dio, la donazione di se stessa ispirata dalla Grazia – come ci insegna la nostra fede – passa sempre attraverso la mediazione di Gesù Cristo e il lavoro del Suo Spirito.

 

41. La conversione a Dio

 

Quando è stato assunto l’obiettivo di una più profonda conversione a Dio di tutti, il dialogo interreligioso assume la propria validità. In questo processo di conversione “potrebbe essere presa la descrizione di abbandonare la propria situazione spirituale o religiosa precedente al fine di dirigersi verso un’altra” (16). Il dialogo sincero implica da un lato, la reciproca accettazione delle differenze, o addirittura delle contraddizioni; dall’altro, il rispetto per le libere decisioni che vengono prese dalle persone coerentemente a quanto è dettato dalla loro coscienza (cfr DH 2). L’insegnamento del Concilio, che afferma che “tutti gli uomini sono tenuti a ricercare la verità, specialmente ad ancorarsi da essa una volta che essi ne vengono a conoscenza (DH 1), deve essere tenuto a mente.

 

3. LE FORME DEL DIALOGO

 

42. Le forma del dialogo

 

Esistono diverse forme di dialogo interreligioso. Può essere utile richiamare quelle che sono state menzionate all’interno del documento stipulato nel 1984 dal Consiglio Pontificio per il Dialogo Interreligioso (17). Esso: parla di quattro forme, senza pretendere di stabilire alcun ordine di priorità tra di esse:

 

a) Il dialogo della vita, che si ha quando le persone si sforzano di vivere con lo spirito aperto e pronta a farsi prossimo, condividendo le loro gioie e le loro pene, i loro problemi e le loro preoccupazioni umani.

 

b) Il dialogo dell’azione, nel quale i cristiani e gli altri credenti collaborano per lo sviluppo integrale e per la liberazione del loro prossimo

 

c) Il dialogo dello scambio teologico, nel quale gli specialisti cercano di approfondire la propria comprensione delle loro rispettive eredità spirituali, e di apprezzare, ciascuno i valori spirituali dell’altro.

 

d) Il dialogo dell’esperienza religiosa, nel quale le persone, radicate nelle loro tradizioni religiose condividono le loro ricchezze spirituali, per esempio nel campo della preghiera e della contemplazione, della fede e dei modi di ricercare Dio o l’Assoluto.

 

43. L’interdipendenza delle varie forme di dialogo

 

Non bisognerebbe mai perdere di vista questa varietà di forme di dialogo. Se venisse ridotto a uno scambio teologico, il dialogo potrebbe essere considerato facilmente una sorta di ambito privilegiato nella missione della chiesa, (uno spazio) un dominio riservato agli specialisti. Al contrario, tutte le chiese locali tutti i loro membri – guidati dal Papa e dai loro vescovi – sono chiamati al dialogo, anche se non tutti allo stesso modo. Si può notare inoltre che le diverse forme di dialogo sono interconnesse tra di loro. I contatti all’interno della vita quotidiana e l’impegno comune all’azione apriranno in modo naturale la porta alla collaborazione alla promozione dei valori umani e spirituali; i contatti e l’impegno comune possono anche eventualmente portare al dialogo dell’esperienza religiosa in risposta alle grandi domande che le circostanze della vita non mancano di far sorgere nelle menti degli uomini (cfr NA 2). Gli scambi a livello di esperienza religiosa possono dare maggior vita alle discussioni teologiche, e quest’ultime, in cambio, possono illuminare l’esperienza ed incoraggiare i contatti più stretti.

 

44. Il dialogo e la liberazione umana

 

L’importanza del dialogo per lo sviluppo integrale dell’uomo, per la giustizia sociale e per la liberazione umana deve essere messa in rilievo. Le chiese locali sono chiamate ad impegnarsi a tal proposito – come testimonianza di Cristo – in maniera generosa e imparziale. Bisogna battersi per i diritti umani, sostenere le richieste di giustizia e denunciare l’ingiustizia non soltanto quando ne vengono colpiti i membri della singola chiesa, ma indipendentemente dall’appartenenza religiosa delle vittime. Bisogna anche unire le forze nel tentativo di risolvere i gravi problemi che minacciano la società ed il mondo e nell’impegno all’educazione alla giustizia e alla pace.

 

45. Il dialogo e la cultura

 

Un altro ambito in cui oggi il dialogo interreligioso appare urgente è quello della cultura. La cultura è qualcosa di più vasto della religione. In base ad una delle sue definizioni, la religione può essere rappresentata come la dimensione trascendente della cultura e – in un certo qual modo – la sua anima. Le religioni hanno senza dubbio alcuno contribuito al progresso della cultura e alla costruzione di una società più umana. Bisogna però riconoscere che tuttavia le pratiche religiose hanno avuto talvolta un influsso alienante sulle culture. Oggi, una cultura secolare autonoma può avere un ruolo critico nei confronti degli elementi negativi che si trovano in alcune religioni. La questione è complessa, dal momento che molteplici tradizioni religiose possono coesistere all’interno della stessa cornice culturale oppure, al contrario, la stessa religione può esprimersi all’interno di diversi ambiti culturali. Ecco quindi che le differenze religiose possono portare alla formazione di diverse culture all’interno della stessa regione geografica.

 

46. Tensioni e conflitti

 

Il messaggio cristiano sostiene molti valori che si trovano e sono vissuti all’interno della sapienza e della ricca eredità delle culture, ma può anche mettere in discussione alcuni valori della cultura comunemente accettati. Un dialogo premuroso indica il riconoscimento e l’accettazione dei valori culturali che rispettano la dignità della persona umana e il suo destino trascendente. Può tuttavia accadere che alcuni aspetti delle culture cristiane tradizionali siano minacciati dalle culture locali o dalle altre tradizioni religiose (cfr EN 20). All’interno di queste complesse relazioni tra la cultura e la religione, il dialogo interreligioso a livello culturale assume un’importanza considerevole. Il suo obiettivo è quello di eliminare le tensioni e i conflitti e gli scontri potenziali mediante una migliore comprensione tra le varie culture religiose di ogni singola regione geografica. Esso può contribuire a purificare le culture da alcuni elementi disumanizzanti e può essere pertanto un agente di trasformazione. Esso può anche aiutare a mantenere vivi alcuni valori culturali tradizionali che sono minacciati dalla modernità e dal livellamento verso il basso che una globalizzazione indiscriminata può portare con sé.

 

4. DISPOSIZIONI PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO E I SUOI FRUTTI

 

47. Un atteggiamento equilibrato

 

Il dialogo richiede, tanto da parte dei Cristiani quanto da parte dei seguaci delle altre tradizioni, un atteggiamento equilibrato. Essi non devono essere ingenui, né eccessivamente critici, ma aperti e recettivi. La non chiusura su sé stessi, l’imparzialità e l’accettazione di differenze e di possibili contraddizioni sono dati già menzionate. Le altre disposizioni richieste sono la volontà di battersi insieme in difesa della verità e della prontezza nell’acconsentire ad essere trasformati dall’incontro.

 

48. Convinzione religiosa

 

Ciò non significa che quanti partecipano al dialogo debbano mettere da parte le loro rispettive convinzioni religiose. È vero esattamente il contrario: la sincerità del dialogo interreligioso richiede che ciascuno lo affronti nell’integrità della propria fede. Allo stesso tempo i Cristiani, pur rimanendo fermi nel credere che in Gesù Cristo – l’unico mediatore tra Dio e l’uomo (cfr 1Tim, 4 – 6) – è stata data loro la pienezza della rivelazione, devono ricordare che Dio si è manifestato in un certo qual modo anche ai seguaci delle altre tradizioni religiose. Di conseguenza, essi si avvicinano alle convinzioni e ai valori altrui con menti ricettive.

 

49. Apertura alla verità

 

La pienezza della verità ricevuta in Gesù Cristo non dà ai singoli cristiani la garanzia di aver raggiunto pienamente tale verità. Ad un’analisi approfondita emerge il fatto che la verità non è una cosa che noi possediamo, ma una Persona dalla quale dobbiamo accettare di essere posseduti. Questo è un processo senza fine. I Cristiani, sforzandosi di mantenere intatta la propria identità, devono essere pronti ad imparare e a ricevere da e attraverso gli altri credenti i valori positivi delle loro tradizioni. Attraverso il dialogo, essi devono essere spinti ad estirpare pregiudizi radicati, a rivedere idee preconcette e talvolta anche a permettere che venga purificata la comprensione della loro stessa fede.

 

50. Nuove dimensioni della fede

 

Se i Cristiani coltivano questa apertura e si rendono disponibili ad essere messi alla prova, potranno raccogliere i frutti del dialogo. Essi scoprono con ammirazione tutto ciò che l’azione di Dio per mezzo di Gesù Cristo nel Suo Spirito ha compiuto e continua a compiere nel mondo e in tutta l’umanità. Lunghi dall’indebolire la loro fede, il dialogo antico la approfondirà; essi diverranno sempre più consapevoli della loro propria identità cristiana e percepiranno sempre più chiaramente gli elementi distintivi del messaggio cristiano. La loro fede guadagnerà nuove dimensioni quando essi scopriranno la presenza attiva del mistero di Gesù Cristo oltre i confini visibili della chiesa e della comunità cristiana.

 

5. GLI OSTACOLI AL DIALOGO

 

51. Ostacoli o dialogo

 

Anche a livello umano puro e semplice, praticare il dialogo è già di per sé una cosa difficile. Il dialogo interreligioso è ancora più difficile. È importante essere consapevoli degli ostacoli che possono sorgere contro di esso; alcuni dei quali possono applicarsi a tutti i membri di tutte le tradizioni religiose e impedire il successo del dialogo, mentre altri possono porsi più specificatamente alcune tradizioni religiose rende difficile l’inizio di un processo di dialogo. Verranno menzionati alcuni degli ostacoli principali.

 

52. I fattori umani

 

a) Un insufficiente radicamento nella propria fede.

 

b) Un’insufficiente conoscenza e comprensione della fede e delle pratiche delle altre religioni, che porta a una mancanza di riconoscimento del loro significato e persino, a volte, ad una errata rappresentazione.

 

c) Fattori socio – politici o retaggi del passato.

 

d) Una erronea comprensione del significato di termini come conversione, battesimo, dialogo, etc.

 

e) Supponenza, mancanza di apertura che porta ad atteggiamenti difensivi o aggressivi.

 

f) Una mancanza di convinzione dell’importanza del dialogo interreligioso, che potrebbe essere visto da qualcuno come un obiettivo riservato agli specialisti, e da altri come un segno di debolezza o addirittura un tradimento della fede.

 

g) Sospetti sulle autentiche motivazioni dell’altro nel dialogo.

 

h) Uno spirito polemico nell’esprimere le proprie convinzioni religiose.

 

i) L’intolleranza, che è spesso aggravata dall’interconnessione con i fattori politici, economici, razionali ed etnici, una mancanza di reciprocità nel dialogo che può portare alla frustrazione.

 

j) Alcune realtà dell’attuale clima religioso, come ad esempio il crescente materialismo, l’indifferenza religiosa ed il diffondersi sempre maggiore di sette religiose che creano confusione e fanno sorgere nuovi problemi.

 

53. L’iniziativa di Dio

 

Molti di questi ostacoli nascono da una mancanza di comprensione della vera natura e dello scopo del dialogo interreligioso, natura e scopo che devono essere costantemente spiegati, con una grande dose di pazienza. Bisogna ricordare che l’impegno della chiesa nel dialogo non dipende dal suo riuscire o meno a raggiungere la matura comprensione e il maturo arricchimento, ma scaturisce dall’iniziativa di Dio di entrare in dialogo con l’umanità e dall’esempio di Gesù Cristo la cui vita, morte e resurrezione hanno dato l’espressione più piena a tale dialogo.

 

54. La condivisione dei valori evangelici

 

Gli ostacoli, anche se reali, non devono indurci a sottovalutare le possibilità di dialogo o a dimenticare i risultati già ottenuti. Vi è stata una crescita nella matura comprensione e nella cooperazione attiva. Il dialogo ha avuto un impatto positivo sulla chiesa stessa, e anche nelle altre religioni, tramite il dialogo, sono state spinte al rinnovamento e a una più grande apertura. Il dialogo interreligioso ha consentito alla chiesa di poter condividere con gli altri credenti i valori del Vangelo. Così, nonostante le difficoltà, l’impegno nel dialogo da parte della chiesa rimane fermo e irreversibile.

 

 

2. ANNUNCIARE GESÙ CRISTO     

 

 

IL MANDATO DEL SIGNORE RISORTO

 

 

 

55. I messaggeri del Vangelo

 

 

 

Il Signore Gesù ha affidato ai suoi discepoli il mandato di annunciare il Vangelo. Questo avvenimento è riportato da tutti e quattro i vangeli e dagli Atti degli Apostoli, anche se vi sono delle sfumature nelle differenti narrazioni. Nel vangelo secondo Matteo, Gesù dice ai suoi discepoli: “Ogni Autorità nel cielo e sulla terra è stata data a me. Perciò andate e (fate) prendete dei discepoli in tutte le nazioni, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutti i comandamenti che vi ho dato; io sono con voi sempre, fino alla fine dei tempi” (Mt 28, 18 – 20).

 

Nel vangelo secondo Marco il comandamento viene dato in maniera più succinta: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo all’intera creazione. Colui che crede e viene battezzato sarà salvato; ma colui che non crederà sarà condannato.” (Mc 16, 15 – 16). Nel vangelo secondo Luca, l’espressione è meno diretta. Così, è scritto che il Cristo debba soffrire e debba risorgere dalla morte il terzo giorno; e che nel Suo Nome bisogna predicare il pentimento e il perdono dei peccati a tutte le nazioni, cominciando da Gerusalemme. Voi siete testimoni di queste cose” (Lc 24, 46-48).

 

Negli Atti degli Apostoli, l’importanza della testimonianza è accennata: “Ma voi riceverete (il potere) la forza quando lo Spirito Santo sarà venuto sopra di voi; e voi sarete i miei testimoni a Gerusalemme e in tutta la Giudea e nella Samaria e fino agli estremi confini della terra” (At 1,8).

 

Nel vangelo secondo Giovanni, la missione è espressa in maniera ancora differente: “Come Tu hai mandato me nel mondo, io ho mandato loro nel mondo” (Gv 17,18); “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi” (Gv 20,21).

 

L’annuncio della Buona Novella a tutti gli uomini, la testimonianza, il fare discepoli, il battezzare, l’insegnare: tutti questi aspetti rientrano nella missione evangelizzatrice della chiesa, e devono essere visti alla luce della missione compiuta da Gesù stesso, la missione che Gli è stata affidata dal Padre.

 

56. La presenza del Regno

 

Gesù ha proclamato il vangelo che veniva da Dio dicendo: “Il tempo è compiuto, e il Regno di Dio è in mezzo a voi, pentitevi e credete al vangelo” (Mc 1, 14-15). Questo passaggio riassume il mistero di Gesù: Egli non proclama questa Buona Novella solo a parole, ma anche con le Sue opere, il Suo comportamento e le Sue scelte, col messaggio reso da tutta la sua vita e tramite la Sua morte e la sua resurrezione. Le sue parabole, i Suoi miracoli, gli esorcismi che Egli ha operato, si riconducono tutti al Regno di Dio che Egli annuncia. E questo Regno non è semplicemente qualcosa che dev’essere predicata, come se non avesse alcun legame con la sua persona. Gesù ha dichiarato esplicitamente che è attraverso di Lui e in Lui che il Regno di Dio fa il suo ingresso all’interno del mondo (cfr Lc 17, 20 – 22), e che in Lui il Regno è già in mezzo a noi, anche se esso ha bisogno di crescere fino alla sua pienezza (18).

 

57. La testimonianza per mezzo della vita

 

Il Suo insegnamento è confermato dalla Sua vita. “Anche se rifiutate di credere in me, almeno credete nelle opere che compio” (Gv 10,38). Analogamente, le Sue azioni sono spiegate dalla Sua parola che sgorga dalla Sua consapevolezza di essere una sola cosa con il Padre. “Vi dichiaro solamente che il Figlio non può far nulla da Sé stesso, Egli può fare ciò che vede fare dal Padre” (Gv 5,19). Nell’interrogatorio di fronte a Pilato, Gesù afferma di essere venuto nel mondo “per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37). Anche il Padre Gli rende testimonianza, sia tramite le parole pronunciate dal cielo, sia nelle opere e nei segni miracolosi che Gesù è abilitato a compiere. È lo Spirito che “sigilla” la testimonianza di Gesù, autenticandola (cfr Gv 3,32-35).

 

2. IL RUOLO DELLA CHIESA

 

58. L’attività della Chiesa per l’annuncio

 

Il mandato del Signore Risorto alla Chiesa Apostolica deve essere compreso alla luca di tutto ciò. La missione della chiesa consiste nell’annunciare il regno di Dio stabilito sulla terra in Gesù Cristo, per mezzo della Sua vita, della Sua morte e della Sua resurrezione, come una offerta di salvezza decisiva e universale fatta da Dio al mondo. Per questo motivo “non vi è vera evangelizzazione se non vengono proclamati il Nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il Regno e il mistero di Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio” (En 22). Vi è continuità tra il Regno predicato da Gesù e il mistero di Cristo annunciato dalla chiesa.

 

59. Al servizio del Regno

 

La Chiesa, che continua la missione di Gesù, è “il seme e l’inizio” del Regno (cfr lg 5). Essa è al servizio del Regno ed è sua “testimone”: la testimonianza della fede in Cristo, il Redentore, è situata nelle profondità più intime della fede e della vita della chiesa stessa. Nella storia della chiesa, tutti gli Apostoli “testimonianza” della vita, della morte e della resurrezione di Cristo (cfr At 2,32; 3,15; 10,39; 13,31; 23,11). La testimonianza viene resa tramite le parole e le opere che non possono essere in contraddizione tra di loro. Le opere convalidano l’annuncio, ma senza l’annuncio le stesse opere possono essere mal interpretate. La testimonianza degli Apostoli, nelle parole e nei segni, è subordinata all’azione dello Spirito Santo, mandato dal Padre per raggiungere l’obiettivo di tale testimonianza (cfr Gv 15,26 e seguenti; Gv 5,7-10; At 5,32).

 

3. Il CONTENUTO DELL’ANNUNCIO

 

60. Pietro annuncia il Cristo Risorto

 

Il giorno di pentecoste a compimento della promessa di Cristo, lo Spirito Santo è sceso sugli Apostoli. In quel tempo “vivevano a Gerusalemme molti uomini devoti provenienti da ogni nazione che si trova sotto il cielo” (At 2,5) – la lista dei popoli presenti che viene fornita negli Atti serve a sottolineare la portata universale di questo primo evento ecclesiale. A nome di tutti gli Undici, Pietro si è rivolto alle persone riunite annunciando Gesù, confermato da Dio con miracoli e portenti, crocifisso dagli uomini ma risorto nuovamente alla vita da Dio. Egli a così concluso il suo annuncio: “Per questo motivo l’intera nazione di Israele può essere certa che Dio a costituito questo Gesù, che voi avete crocifisso, Signore e Cristo” (At 2,36). Ciò fu seguito dall’invito ai suoi ascoltatori a pentirsi, a diventare discepoli di Gesù, facendosi battezzare nel Suo Nome per il perdono dei peccati e a ricevere così il dono dello Spirito Santo. In seguito, di fronte al Sinedrio, Pietro a testimoniato la sua fede nel Cristo risorto, affermando chiaramente: “Solamente in Lui v’è salvezza, poiché tra tutti i nomi dati agli uomini nel mondo soltanto il Suo quello tramite il quale si può essere salvati” (At 4,11-12). La natura universale del messaggio di salvezza cristiano viene portata avanti nel contesto della conversazione di Cornelio. Quando Pietro a testimoniato la vita e le opere di Gesù, dall’inizio del Suo ministero in Galilea fino alla Sua Resurrezione, “lo Spirito Santo è sceso su tutti quelli che lo ascoltavano”, cosicché coloro che accompagnavano Pietro rimasero sbalorditi del fatto “ che il dono dello Spirito Santo potesse essere effuso anche sui Gentili” (At 10,44-45).

 

61. Paolo annuncia il mistero che era stato tenuto nascosto per secoli

 

Gli Apostoli, dopo l’evento della Pentecoste, si presentano testimoni della resurrezione di Cristo (At 1,22; 4,33; 5,32-33) o più semplicemente, con una formula più coincisa, come testimoni di Cristo (cfr At 3,15; 13,31). Questa testimonianza è stata resa nella maniera più chiara da Paolo, “chiamato ad essere un discepolo, preso al servizio del Vangelo” (Rm 1,1), che ha ricevuto da Gesù Cristo la “missione apostolica di ottenere l’obbedienza della fede da parte di tutte le nazioni per l’onore del Suo Nome” (Rm 1,15). Paolo annuncia “il Vangelo che Dio ha promesso tanto tempo fa per bocca dei profeti nelle sacre scritture” (Rm 1,2), il “Vangelo del Suo Figlio” (Rm 1,9). Egli annuncia un Cristo crocifisso: “una pietra d’inciampo per i Giudei e una follia per i Gentili” (1Cor 1,23; cfr 1Cor 2,2), poiché nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già si trova (Gesù Cristo)” (1Cor 3,11). L’intero messaggio di Paolo è riassunto nella sua solenne dichiarazione agli Efesini: “Io, che sono più piccolo dell’ultimo degli appartenenti al popolo di Dio, sono stato investito dalla grazia speciale di annunciare ai Gentili l’incommensurabile tesoro di Cristo e di gettar luce sulle realtà più profonde del mistero che era stato tenuto nascosto in tutte le epoche in Dio, il Creatore di ogni cosa”, la multiforme sapienza di Dio che Egli ci ha ora rivelato per mezzo della chiesa, “secondo il piano che Egli aveva formulato dall’eternità in Cristo Gesù nostro Signore” (Ef 3,8-11). Lo stesso messaggio si trova nelle Lettere Pastorali. Dio “desidera che tutti gli uomini si salvino e raggiungono la conoscenza della verità. Poiché c’è un solo Dio, e vi è un solo mediatore tra Dio, e gli uomini: l’uomo Gesù Cristo, che ha dato sé stesso in riscatto per tutti” (1Tim 2,4-6). Questo “mistero della nostra religione” che è “molto profondo” trova espressione in un frammento liturgico: “Egli si è manifestato nella carne, è stato giustificato nello Spirito, è stato visto dagli angeli, è stato annunciato alle nazioni, è stato creduto nel mondo, è stato assunto nella Gloria” (1Tim 3,16).

 

62. Giovanni ha reso testimonianza alla Parola di Vita

 

Volgendo l’attenzione all’apostolo Giovanni, notiamo come egli si presenti innanzitutto come un testimone, come un uomo che ha visto Gesù ed ha scoperto il Suo mistero (cfr Gv 13,23-25; 21,24). “Noi ti annunciamo ciò che abbiamo visto e udito” – della Parola di vita – “così che anche tu possa condividere la nostra vita” (Gv 4,14). L’incarnazione è centrale nel messaggio di Giovanni Il Verbo si è fatto carne è vissuto in mezzo a noi, e noi abbiamo visto la Sua gloria, la gloria che Egli riceve dal Padre come unico Figlio del Padre, pieno di grazia e verità” (Gv 1,14). Quindi, per mezzo di Gesù è possibile vedere il Padre (cfr Gv 14,9), Egli è la via che conduce al Padre (cfr Gv 14,6). Sollevato (innalzato) sulla croce, Egli attira tutti a sé (cfr Gv 12,32). Egli è veramente “il Salvatore del mondo” (Gv 4,42).

 

63. Il potere della Parola annunciata dalla Chiesa

 

“Proclama la parola”, scrive Paolo e Timoteo (2 Tim 4,2). Il contenuto di questa parola è espresso in vari modi: è il Regno (cfr At 20,25), il Vangelo del Regno (cfr Mt 24,14), il Vangelo di Dio (cfr Mc 1,14 M 2,9). Ma queste diverse formulazioni significano in realtà la stessa cosa: annunciare Gesù (cfr At 9,20; 19,13), annunciare il Cristo (cfr At 8,5). Gli apostoli predicano la parola di Dio esattamente come Gesù parlava con le parole di Dio (cfr Gv 3,34), poiché Gesù, che essi annunciano, è la Parola.

 

Pertanto il messaggio cristiano è un messaggio potente, che deve essere accolto per quello che esso è realmente, “non la parola di un essere umano, ma la parola di Dio (Fil 2,13). La parola che viene accettata con fede diverrà “viva e attiva”, più tagliente di una spada a doppio taglio” (Eb 4,12). Essa sarà una parola che purifica (cfr Gv 15,3), sarà la sorgente della verità che porta la libertà (cfr Gv 8,31-32). La parola diverrà una presenza interiore: “chi ama osserverà la mia parola, e mio Padre lo amerà, e noi verremmo a lui e stabiliremo la nostra dimora in lui” (Gv 14,23). Questa è la parola di Dio che deve essere proclamata dai Cristiani.

 

 

4. LA PRESENZA E IL POTERE DELLO SPIRITO

 

64. La presenza dello Spirito Santo

 

 

 

Proclamando questa parola, la chiesa sa di poter fare affidamento allo Spirito Santo, che suggerisce la sua proclamazione e conduce chi ascolta all’obbedienza della fede. “È lo Spirito Santo che, oggi come agli inizi della chiesa, agisce in ogni evangelizzatore che è disposto ad essere posseduto e guidato da Lui. Lo Spirito Santo pone sulle labbra dell’evangelizzatore le parole che egli non saprebbe trovare da sé stesso, e nello stesso tempo predispone l’anima di colui che ascolta ed essere aperta e recettiva alla Buona Novella e alla proclamazione del Regno” (En 75).

 

65. Il potere dello Spirito Santo

 

La forza dello spirito santo è dimostrata dal fatto che la testimonianza più efficace viene data spesso proprio nel momento in cui il discepolo è privo di aiuto, è più incapace di parlare o di agire, e tuttavia rimane saldo nella fede. Come dice Paolo: “Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,9-10). La testimonianza per mezzo della quale lo Spirito conduce gli uomini e le donne alla conoscenza di Gesù come il Signore non è una conquista umana, ma un frutto del lavoro di Dio stesso.

 

5. L’URGENZA DELL’ANNUNCIO

 

66. Il dovere dell’annuncio

 

Papa Paolo VI a detto nella sua Esortazione “Evangelii Nuntiandi”: “La presentazione del messaggio evangelico non è un fatto opzionale per la chiesa. E un suo dovere, assegnato dal Signore Gesù, finalizzato alla fede e alla salvezza degli uomini. Questo messaggio è veramente necessario; è unico ed insostituibile; non ammette indifferenza, sincretismo o compromesso, perché concerne la salvezza del genere umano” (En 5). La sua urgenza è stata indicata da Paolo: “come potranno quindi essere chiamati presso di Lui quanti a Lui non hanno creduto? E come possono credere in Lui se non hanno mai sentito parlare di Lui? E come sentiranno parlare di Lui se non vi è un predicatore per loro? (…) Ma è in questo modo che la fede arriva, tramite l’ascolto, e tramite l’ascolto della parola di Cristo” (Rm 10,4 ss.). “Questa legge, stabilita un giorno dall’Apostolo Paolo, mantiene al giorno d’oggi tutta la sua forza. (…) e tramite l’ascolto della parola che si è guidati alla fede” (En 42). È opportuno ricordare anche queste altre parole di Paolo: “se annuncio il Vangelo, non ho alcun motivo per vantarmi, poiché ho una necessità che incombe: guai a me se io non annunciassi il vangelo!” (2 Cor 9,16).

 

67. Annunciare la salvezza in Gesù Cristo

 

L’annuncio è una risposta all’aspirazione umana alla salvezza. “In ogni luogo in cui in cui Dio apre le porte per la parola al fine di proclamare il mistero di Cristo, il Dio vivente e Colui che Egli ha mandato per la salvezza di tutti, Gesù Cristo, vengono fiduciosamente e perseverantemente annunciati a tutti gli uomini. E ciò affinché i non Cristiani, i cui cuori sono aperti allo Spirito Santo, possono, credendo, essere liberamente orientati al Signore che – dal momento che è “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6) – soddisferà tutte le loro speranze più profonde, se non addirittura le sorpasserà” (Ag 13).

 

6. LE MODALITÀ DELL’ANNUNCIO

 

68. La guida dello Spirito

 

Proclamando il messaggio di Dio in Gesù Cristo, la chiesa evangelizzatrice deve ricordare sempre che il suo compito non è esercitato nel vuoto assoluto, poiché lo Spirito Santo, lo Spirito di Cristo, è presente e attivo tra coloro che odono la Buona Novella ancor prima che l’azione missionaria della chiesa sia operativa (cfr RH12; Dv 53). Essi potrebbero in molti casi aver già implicitamente risposto all’offerta della salvezza in Gesù Cristo data da Dio: un segno di ciò è la pratica sincera delle proprie tradizioni religiose, nella misura in cui esse contengono autentici valori religiosi. Essi potrebbero essere già stati raggiunti dello Spirito e, in un certo qual modo, potrebbero essere stati associati in maniera sconosciuta al mistero pasquale di Gesù Cristo (cfr Gs 22).

 

69. Imparare ad annunciare

 

Consapevole di ciò che Dio ha già compiuto in coloro a cui essa si rivolge, la chiesa si sforza di scoprire il giusto modo di annunciare la Buona Novella, traendo ispirazione dalla pedagogia divina. Ciò significa che essa apprende da Gesù Cristo stesso e osservando i tempi che sono stati definiti dallo Spirito. Gesù ha rivelato solo gradualmente a quanti lo ascoltavano il significato del Regno, il piano di salvezza di Dio realizzato nel Suo mistero. Solo gradualmente, e con infinita cura, Egli ha svelato loro le implicazioni del Suo messaggio, la Sua identità di Figlio di Dio, lo scandalo della Croce. Persino i suoi discepoli più intimi, come attesta il vangelo, hanno raggiunto la piena fede nel loro Maestro soltanto tramite la loro esperienza pasquale e il dono dello Spirito. Coloro che desiderano diventare discepoli di Gesù oggi passeranno attraverso lo stesso processo di scoperta e di assunzione di responsabilità. Di conseguenza, l’annuncio fatto dalla chiesa deve essere graduale e paziente, mantenendo il passo di quanti accolgono il messaggio, rispettando la loro libertà e financo la loro “lentezza nel credere” (En 79).

 

70. Le caratteristiche specifiche del Vangelo

 

L’annuncio della Chiesa deve essere caratterizzato altre qualità. Esso dev’essere:

 

1) fiducioso nel potere dello Spirito e obbediente al mandato ricevuto dal Signore (cfr. 1Tim 2,2; 2Cor 3,12; 2Cor 7,4; Fil 1,20; Ef 3,12; Ef 6, 19-20; At 4,13.29.31; At 9, 27-28, ecc.);

 

2) fedele nella trasmissione dell’insegnamento ricevuto dal Cristo e preservato della Chiesa, che è la depositaria della Buona Novella che deve essere annunciata (cfr EN 15). “La fedeltà al messaggio di cui noi siamo i servitori (….) è un punto cruciale dell’annuncio” (EN 4). “L’evangelizzazione non è per nessuno un atto individuale e isolato, bensì un atto profondamente ecclesiale (EN 60);

 

3) umile, nella consapevolezza del fatto che la pienezza della rivelazione in Gesù Cristo è stata ricevuta come un dono gratuito (Ef 3,2), e che gli annunciatori del Vangelo non vivono sempre pienamente ciò che esso chiede;

 

4) rispettoso della presenza e dell’azione dello Spirito di Dio nei cuori di coloro che ascoltano il messaggio e nel riconoscere che lo Spirito è il “principale agente di evangelizzazione” (EN 75);

 

5) dialogico, Poiché nel contesto dell’annuncio chi ascolta la Parola non dev’essere un ricettore passivo. Esiste un processo che va dai “semi del Verbo” già presenti nell’ascoltatore al pieno mistero della salvezza in Gesù Cristo. La Chiesa deve riconoscere un processo di purificazione e illuminazione nel quale lo Spirito di Dio apre la mente e il cuore di chi ascolta all’obbedienza della fede;

 

6) inculturato, incarnato nella cultura e nella tradizione spirituale di coloro a cui è rivolto, in modo tale che il messaggio non solo sia loro comprensibile, ma risponda anche alle loro più profonde aspirazioni e rappresenti veramente la Buona novella che essi avevano atteso da tanto tempo. (cfr EN 20,62)

 

71. In stretta unione con Cristo

 

Per conservare queste qualità la Chiesa non deve soltanto tenere sempre a mente le circostanze della vita e dell’esperienza religiosa di coloro cui si rivolge: essa deve anche vivere in un dialogo costante col suo Signore e Maestro tramite la preghiera e la penitenza, la meditazione e la vita liturgica, e soprattutto nella celebrazione dell’Eucarestia. Soltanto allora l’annuncio e la celebrazione del messaggio del Vangelo divengono pienamente vivi.

 

7. Gli ostacoli all’annuncio

 

72. Difficoltà dell’annuncio

 

L’annuncio della Buona Novella effettuato dalla Chiesa richiede un grande impegno tanto da parte della Chiesa evangelizzatrice e dei suoi membri impegnati nell’evangelizzazione, quanto da parte di coloro che sono chiamati da Dio all’obbedienza alla fede cristiana. Non è un obiettivo semplice. Menzioniamo qui alcuni ostacoli principali che essa può incontrare.

 

73. Difficoltà interne

 

a) Può succedere che la testimonianza cristiana non corrisponda al cred; si può avere un divario tra parola e azione, tra il messaggio cristiano e il modo in cui i cristiani lo vivono.

 

b) I cristiani possono fallire nell’annuncio del Vangelo a causa della negligenza, del rispetto umano o della vergogna che S. Paolo chiamava “arrossire per il Vangelo”, oppure ancora a causa di idee sbagliate sul piano di salvezza di Dio (cfr EN 80).

 

c) I cristiani che mancano di accoglienza e rispetto nei confronti degli altri credenti e delle loro tradizioni religiose sono mal preparati ad annunciare il Vangelo.

 

d) In alcuni cristiani un certo atteggiamento di superiorità, che si può mostrare a livello culturale, può far sorgere l’equivoco che una cultura particolare sia legata al messaggio cristiano e debba essere imposta ai convertiti.

 

74. Difficoltà esterne

 

a) Il peso della storia rende l’annuncio più difficile, poiché alcuni sistemi di evangelizzazione nel passato hanno talvolta generato paura e sospetti da parte dei seguaci di altre religioni.

 

b) I membri di altre religioni possono temere che la missione evangelizzatrice della Chiesa comporti la distruzione della loro religione e della loro cultura.

 

c) Una diversa concezione dei diritti umani o una mancanza di rispetto nei confronti di essi può far scaturire l’effetto della mancanza di libertà religiosa.

 

d) La persecuzione può rendere l’annuncio della Chiesa particolarmente difficile o quasi impossibile. Bisogna tuttavia ricordare che la Croce è una fonte di vita; “il sangue dei martiri è il seme dei cristiani”.

 

e) L’identificazione di una particolare religione con la cultura nazionale o con un sistema politico crea un clima di intolleranza.

 

f) In alcuni luoghi, la conversione è proibita dalla legge; in altri, i convertiti al cristianesimo si scontrano con seri problemi, come l’ostracismo dalle loro comunità religiose di origine o dal loro ambito sociale e culturale.

 

g) In contesti pluralistici, il pericolo dell’indifferenza, del relativismo o del sincretismo religioso crea degli ostacoli all’annuncio del Vangelo.

 

8. L’ANNUNCIO NELLA MISSIONE EVANGELIZZATRICE DELLA CHIESA

 

75. L’annuncio del fatto che Gesù è il Figlio di Dio

 

La missione evangelizzatrice della Chiesa è stata talvolta vista come un semplice invito a diventare discepoli di Gesù all’interno della Chiesa. Gradualmente ha cominciato poi a svilupparsi una più vasta comprensione dell’evangelizzazione, all’interno della quale l’annuncio del mistero di Cristo rimane tuttavia centrale. Il decreto del Concilio Vaticano Secondo sull’Attività Missionaria della Chiesa, laddove tratta dell’opera missionaria, menziona la solidarietà col genere umano, il dialogo e la collaborazione prima di parlare della testimonianza e della predicazione del Vangelo (cfr AG 11-13). Il Sinodo dei Vescovi del 1974 e l’Esortazione Apostolica “Evangelii Nuntiandi” che lo ha seguito hanno affrontato l’evangelizzazione in maniera estesa. Nell’evangelizzazione l’intera persona dell’evangelizzatore è coinvolta; le parole, le azioni, la testimonianza di vita (cfr EN 21-22). Analogamente, il suo direttivo si estende a tutto ciò che riguarda l’uomo, poiché si sforza di trasformare la cultura umana e le singole culture col potere del Vangelo (cfr EN 18-20). Papa Paolo VI ha già espresso in maniera abbastanza chiara che l’evangelizzazione sarà sempre necessaria, come fondamento, nucleo e vertice del suo dinamismo, un annuncio chiaro del fatto che in Gesù Cristo, Il Figlio di Dio fatto uomo, che è morto e risorto dai morti, la salvezza viene offerta a tutti come dono dell’amore e della misericordia di Dio (EN 27). È in questo spirito che il documento del 1984 del Consiglio Pontificio per il Dialogo Interreligioso include l’annuncio tra i fattori costitutivi della missione evangelizzatrice della Chiesa (19).

 

76. Il sacro dovere di annunciare

 

È anche utile sottolineare ancora una volta che annunciare il nome di Gesù ed esortare i popoli a divenire suoi discepoli all’interno della Chiesa è un dovere sacro e fondamentale che la Chiesa stessa non può trascurare. L’evangelizzazione sarebbe incompleta senza di esso (EN 22), poiché, senza questo elemento centrale, gli altri – pur essendo in sé stessi forme genuine della missione della Chiesa – perderebbero la loro coesione e la loro vitalità. È perciò evidente come e perché, in situazioni nelle quali – per ragioni politiche o di altra natura – l’annuncio in quanto tale è praticamente possibile, la Chiesa sta già portando avanti la sua missione evangelizzatrice non solo tramite la presenza e la testimonianza ma anche per mezzo di attività come lo sforzo per una promozione dello sviluppo umano integrale e per il dialogo. Dall’altro lato, in quelle altre situazioni in cui le persone sono disposte ad ascoltare il messaggio del Vangelo e hanno la possibilità di metterlo in pratica, la Chiesa è assolutamente in dovere di soddisfare pienamente le loro aspettative.

 

3. IL DIALOGO INTERRELIGIOSO E L’ANNUNCIO     

 

1. SONO CORRELATI MA NON INTERCAMBIABILI

77. La missione della Chiesa

 

Io dialogo interreligioso e l’annuncio, anche se si situano su livelli diversi, sono entrambi elementi autentici della missione evangelizzatrice della Chiesa. Sono entrambi legittimi e necessari. Sono profondamente correlati, ma non intercambiabili: il vero dialogo religioso presuppone, da parte dei Cristiani, il desiderio di conoscere meglio, riconoscere e amare Gesù Cristo; l’annuncio di Gesù Cristo deve essere portato avanti nello spirito evangelico del dialogo. Le due attività rimangono distinte, ma come mostra l’esperienza, la stesa Chiesa locale o la stessa persona possono essere impegnate in entrambe in maniera diversa.

 

78. Coscienza delle circostanze contingenti

 

Concretamente, il modo in cui viene realizzata la missione della Chiesa dipende dalle particolari circostanze in cui si trova ciascuna Chiesa locale e ciascun Cristiano. Essa implica sempre una certa sensibilità agli aspetti sociali, culturali, religiosi e politici della situazione in cui ci si trova, e anche l’attenzione ai “segni del tempi” tramite i quali lo Spirito di Dio parla, insegna e guida. Questa sensibilità, questa attenzione si sviluppa con uno spirito di dialogo. Essa richiede un discernimento basato sulla preghiera e una riflessione teologica sul significato del piano di Dio nelle diverse tradizioni religiose e nell’esperienza di quanti si trovano trovano in esse nutrimento spirituale.

 

2. LA CHIESA E LE RELIGIONI

 

79. L’universalità della missione della Chiesa

 

Nel compiere la sua missione, la Chiesa entra in contatto con persone di altre tradizioni religiose. Alcune di esse diventano discepoli di Gesù Cristo nella Sua Chiesa, come risultato di una profonda conversione e tramite una libera decisione personale. Altre sono attratte dalla persona di Gesù e dal suo messaggio, ma per varie ragione non entrano nell’ovile. Altre ancora sembrano avere un interesse scarso o nullo nei confronti di Gesù. Qualsiasi caso ci si trovi di fronte, la missione della Chiesa si estende a tutti. Si può vedere come la Chiesa possa avere un luogo profetico nel dialogo anche in relazione alle religioni cui le persone alle quali essa si rivolge appartengono: testimoniando i valori del Vangelo, essa fa nascere degli interessi rogativi all’interno di queste religioni. Analogamente, la Chiesa, dal momento che porta il marchio dei limiti umani, si può trovare impegnata in una sfida. Così, nel promuovere questi valori, in uno spirito e emulazione e di rispetto per il Mistero di Dio, i membri della Chiesa e i fedeli di altre religioni si trovano ad essere compagni di strada sul sentiero comune che l’umanità è chiamata a percorrere. Al termine della giornata di preghiera, digiuno e pellegrinaggio per la pace, svoltasi ad Assisi, Papa Giovanni Paolo II ha detto: “Cerchiamo di vedere in questa giornata un’anteprima di ciò a cui Dio vorrebbe che lo sviluppo della storia dell’umanità porti: una giornata vissuta in fraternità, nella quale ci accompagniamo gli uni agli altri fino alla meta trascendente che Egli ha stabilito per noi” (20)

 

80. La via del dialogo

 

La Chiesa incoraggia e promuove il dialogo non solo tra sé stessa e le altre tradizioni religiose, ma anche quello tra le varie tradizioni religiose stesse. Questa è una via nella quale essa svolge il suo ruolo come un “sacramento, vale a dire uno strumento di comunione con Dio e di unità tra tutti i popoli” (LG 1). Essa è esortata dallo Spirito a incoraggiare tutte le istituzioni e i movimenti religiosi a incontrarsi, a entrare in collaborazione e a purificare se stessi al fine di promuovere la verità e la vita, la santità, la giustizia, l’amore e la pace, le dimensioni di quel Regno che, alla fine dei tempi, Cristo riconsegnerà a Suo Padre (cfr 1Cor 15,24). In questo modo il dialogo interreligioso è veramente parte del dialogo di salvezza iniziato da Dio (21).

 

3. ANNUNCIARE GESÙ CRISTO

 

81. Predicazione confessione

 

D’altro canto, l’annuncio mira a guidare gli uomini e le donne  alla conoscenza esplicita di ciò che Dio ha fatto in Gesù Cristo e per tutti e a invitarli a diventare discepoli di Gesù diventando membri della Chiesa. Quando la Chiesa, in obbedienza al comandamento del Signore Risorto e alle istruzioni dello Spirito, si mette al lavoro per realizzare l’obiettivo dell’annuncio, lo deve fare spesso in una maniera progressiva. Bisogna utilizzare il discernimento per vedere il grado di presenza di Dio nella storia personale di ciascuno. I fedeli delle altre religioni – come anche i Cristiani – possono scoprire che vi sono già molti valori condivisi. Ciò può rappresentare una sfida che può essere vissuta tramite la testimonianza della comunità cristiana o tramite la professione di fede individuale, con la quale viene confessata umilmente la piena identità di Gesù. Poi, quando i tempi sono maturi, si può porre la domanda decisiva di Gesù: “Chi dite voi che io sia?”. La vera risposta a questa domanda può venire solo dalla fede. La predicazione e la confessione, su ispirazione della Grazia, che Gesù di Nazareth è il Figlio di Dio Padre, il Signore Risorto e il Redentore, costituisce la fase finale dell’annuncio. Chi professa liberamente questa fede è invitato a divenire un discepolo di Gesù all’interno della sua Chiesa e di assumere un ruolo responsabile nella missione di quest’ultima.

 

4. L‘IMPEGNO NELL’UNICA MISSIONE

 

82. Coinvolgimento personale

 

Tutti i cristiani sono chiamati a lasciarsi coinvolgere personalmente nelle due modalità di portare avanti l’unica missione della Chiesa: queste due modalità sono l’annuncio e il dialogo. Il modo in cui essi si lasceranno coinvolgere dipende dalle circostanze e anche dal loro grado di preparazione. I cristiani devono però tenere sempre a mente che il dialogo – come è già stato detto – non costituisce da solo l’intera missione della Chiesa e che esso non può rimpiazzare l’annuncio, ma rimane orientato verso l’annuncio man mano che il processo dinamico della missione evangelizzatrice della Chiesa raggiunge in esso il suo apice e la sua pienezza. Quando si impegneranno nel dialogo interreligioso, essi scopriranno i “semi del Verbo” piantati nei cuori degli uomini e delle donne e nelle tradizioni religiose cui appartengono. Approfondendo il loro apprezzamento del mistero di Cristo, saranno in grado di discernere i valori positivi nella ricerca umana del Dio sconosciuto o non completamente conosciuto. Attraverso le varie fasi del dialogo, le due parti sentiranno una grande necessità di dare e ricevere informazioni e spiegazioni, di fare domande gli uni agli altri. I Cristiani hanno il dovere di fornire alle persone con cui sono in dialogo delle risposte soddisfacenti a proposito dei contenuti della fede cristiana, di rendere testimonianza a questa fede quando ciò è loro richiesto, di rendere conto della loro speranza (1Pt 3,15). Per poter essere in grado di far questo, i Cristiani devono approfondire la loro fede, purificare i loro sentimenti, rendere chiaro il proprio linguaggio e rendere la propria fede sempre più autentica.

 

83. Amore e condivisione

 

All’interno di questo approccio dialogico, come potremmo non sperare e desiderare di condividere con gli altri la loro gioia nel conoscere e nel seguire Gesù Cristo, Signore e Redentore? Siamo qui al cuore del mistero dell’amore. Dal momento che la Chiesa e i Cristiani hanno un profondo amore per il Signore Gesù, il desiderio di condividere la Sua persona con gli altri non è motivato semplicemente dall’obbedienza al comandamento del Signore, ma da questo stesso amore. Non dovrebbe essere sorprendente, ma piuttosto normale, il fatto che i seguaci di altre religioni desiderino anch’essi condividere sinceramente la loro fede. L’intero dialogo implica reciprocità e mira a bandire la paura e l’aggressività.

 

84. Le istruzioni dello Spirito Santo

 

I Cristiani devono essere sempre coscienti dell’influsso dello Spirito Santo ed essere pronti a seguire il suo impulso in qualsiasi luogo, stabilito dalla Provvidenza e dal disegno di Dio, li sta guidando. È lo Spirito che guida la missione evangelizzatrice della Chiesa. Spetta allo Spirito ispirare tanto l’annuncio della Chiesa quando l’obbedienza della fede. Spetta invece a noi essere attenti alle istruzioni dello Spirito. Che l’annuncio sia possibile o no, la Chiesa persegue la sua missione nel pieno rispetto della libertà, tramite il dialogo interreligioso, la testimonianza e la condivisione  dei valori del Vangelo. In questo modo, le parti coinvolte nel dialogo procedono in sintonia con la chiamata divina di cui essi sono coscienti. Tutti, sia i Cristiani che i seguaci di altre tradizioni religiose, sono invitati ad entrare da Dio stesso nel mistero della Sua pazienza nei confronti degli esseri umani che cercano la Sua luce e la verità. Solo Dio conosce i tempi e le fasi del compimento di questa lunga ricerca umana.

 

5. GESÙ NOSTRO MODELLO

 

85. L‘esempio di Gesù

 

È in questo clima di attesa e di ascolto che la Chiesa e i Cristiani affrontano l’annuncio e il dialogo interreligioso con un vero spirito evangelico. Essi sono consapevoli del fatto che “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28). Per mezzo della Grazia essi sono arrivati a sapere che Dio è Padre di tutti e che Egli si è rivelato in Gesù Cristo. Non è forse proprio Gesù il loro modello e la loro guida nell’impegno nell’annuncio e nel dialogo? Non è forse Egli il solo che possa ancora oggi dire a una persona sinceramente religiosa: “Non sei lontano dal Regno di Dio” (Mc 12,34)?

 

86. Intimamente uniti a Cristo

 

I Cristiani non devono soltanto imitare Gesù, ma devono anche essere strettamente uniti a Lui. Egli ha invitato i Suoi discepoli e amici a unirsi a Lui nella sua unica offerta per la salvezza di tutta l’umanità. Il pane e il vino per i quali Egli ha reso grazie simbolizzavano l’intera creazione, e sono diventati il Suo corpo “dato” e il Suo sangue “versato per il perdono dei peccati”. Tramite il ministro della Chiesa, l’unica Eucaristia viene offerta da Gesù in ogni tempo e in ogni luogo, a partire dall’epoca della Sua passione, morte e resurrezione a Gerusalemme. È lì che i Cristiani si uniscono al Cristo nella Sua offerta che “porta la salvezza a tutto il mondo. (Preghiera Eucaristica IV). Siffatta preghiera è gradita a Dio, che “desidera che tutti gli uomini siano salvati e pervengano alla conoscenza della verità” (1Tim 2,4). Così essi rendono grazie per “tutto ciò che è vero, tutto ciò che è onorabile, tutto ciò che è giusto e puro, tutto ciò che noi amiamo e ammiriamo, tutto ciò che è buono e degno di fede (Fil 4,8). Qui essi disegnano la traccia della Grazia, per essere in grado di leggere i segni della presenza dello Spirito e per riconoscere il tempo opportuno e il giusto modo di annunciare Gesù Cristo.

 

CONCLUSIONE

 

87. Una speciale attenzione per ogni religione

 

L’intento di queste riflessioni sul dialogo interreligioso e sull’annuncio è stato quello di fornire alcune chiarificazioni basilari. Tuttavia, è importante ricordare che le varie religioni differiscono l’una dall’altra. Pertanto, bisogna rivolgere una particolare attenzione alle relazioni con i seguaci di ciascuna religione.

 

88. Studi specifici sulle relazioni tra il dialogo e l’annuncio

 

È anche opportuno che vengano affrontati gli studi specifici sulle relazioni tra il dialogo e l’annuncio, che prendano in considerazione ogni religione all’interno della sua area geografica e del suo contesto socio- culturale. la Conferenza Episcopale potrebbe affidare tali studi a commissioni appropriate e ad Istituti teologici e pastorali. Alla luce dei risultati di questi studi, questi istituti potrebbero anche organizzare corsi speciali e sessioni di studio finalizzati a formare le persone al dialogo e all’annuncio. Bisogna rivolgere un’attenzione particolare ai giovani che vivono in un ambiente pluralistico, che incontrano seguaci di altre religioni a scuola, sul lavoro, nei movimenti giovanili, nelle associazioni di altro tipo o persino nelle loro stesse famiglie. 

 

89. La necessità della preghiera

 

Il dialogo e l’annuncio sono degli obiettivi difficili ma assolutamente necessari. Tutti i Cristiani, in base alla loro situazione, devono essere incoraggiati a equipaggiarsi per poter meglio affrontare questo difficile impegno. Ancor più che obiettivi da raggiungere, il dialogo e l’annuncio sono delle grazie che devono essere ricercate nella preghiera. Che tutti implorino continuamente l’aiuto dello Spirito Santo in modo tale che Egli possa essere “il divino ispiratore dei loro piani, delle loro iniziative e delle loro attività di evangelizzazione (EN 75) !

 

 

Roma 19 maggio 1991

 

 

(1) Documento congiunto del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, Roma, 19 Maggio 1991; OR. 21 giugno 1991.

 

(2) L’atteggiamento della Chiesa nei confronti dei seguaci delle altre religioni: Riflessioni e Orientamenti su Dialogo e Missione, AAS 75 [1984], pp. 816-828; anche Bollettino del Segretariato per i non-Cristiani 56 (1984/2), No. 13. (This document will be referred to henceforth as DM).

 

(3) Insegnamenti 1986, IX/2, pp. 1249-1273; 2019-2029. Cf. Bollettino No. 64 (1987/1), contenente tutti i discorsi del Papa prima, durante il giorno di preghiera in Assisi.

 

(4) Insegnamenti 1987, X/1, pp. 1449-1452. Cf. Bollettino No. 66 (1987/3), pp. 223-225.

 

(5) Guidelines on Dialogue with People of Living Faith and Ideologies, World Council of Churches, Geneva 1979; “Mission and Evangelism – an Ecumenical Affirmation”, in International Review of Mission 71 (1982), pp. 427-451.

 

(6) DM 3.

 

(7) DM 37.

 

(8) Poiché il patrimonio spirituale comune a Cristiani ed Ebrei è molto grande (NA 4), il dialogo tra Cristiani ed Ebrei ha le sue proprie peculiarità. Esse non sono affrontate in questo documento. Per una completa trattazione, cf. Commissione per le Relazioni Religiose con gli Ebrei, Guidelines on Religious Relations with Jews, 1 Dicembre 1974 (in Austin P. Flannery, O.P., ed. Documents of Vatican II, 1984, pp. 743-749); “Sussidi per una Corretta Presentazione degli Ebrei e dell’Ebraismo nella predicazione e nella catechesi cattolica”, 24 giugno 1985, in Origins vol. 15, No. 2 (4 luglio 1985), pp. 102-107.

 

(9) La questione dei Nuovi Movimenti Religiosi è stata trattata nel recente documento pubblicato in collaborazione dai seguenti Consigli Pontifici: PC per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, PC per il Dialogo Interreligioso, PC per il Dialogo con i Non-Credenti e PC per la Cultura. Il testo completo può essere trovato in Origins vol. 16, No. 1 (22 maggio 1986); l’originale Francese in La Documentation Catholique, No. 1919 (1 giugno 1986).

 

(10) Giustino parla dei “semi” piantati dal Logos nelle tradizioni religiose. Attraverso l’incarnazione la manifestazione del Logos diviene completa (1 Rv 46:1-4; 2 Rv 8:1; 10:1-3; 13:4-6). Per Ireneo, il Figlio, la manifestazione visibile del Padre, si è rivelato all’umanità “fin dal principio”; mentre l’incarnazione porta con sé qualcosa di interamente nuovo (Adv. Haer., 4,6,5-7; 4.7,2; 4,20,6-7). Clemente di Alessandria afferma che la “filosofia” è stata donata ai Greci da Dio come un “patto”, come una “pietra miliare per la filosofia che è in accordo con Cristo,” come un “maestro di scuola” che conduce a sé la mente degli Ellenisti (Stromata, 1,5; 6.8; 7,2).

 

(11) Adv. Haer., 3,11,8.

 

(12) Retract., 1,13,3; cf. Enarr. in Ps. 118 (Sermo 29,9), 142,3.

 

(13) Insegnamenti 1986, IX/2, pp. 2019-2029; OR.EE. 5 gennaio 1987.

 

(14) Giovanni Paolo II, Ai vescovi indiani in visita “ad limina” (13 Aprile 1989); Insegnamenti 1989, XII/1, pp. 802 – 804.

 

(15) Insegnamenti 1984, VII/1, pp. 595-599.

 

(16) DM 37.

 

(17) Cf. DM 28-35.

 

(18) Nella Chiesa primitiva, Il Regno di Dio è identificato col Regno di Cristo (cf. Ep 5:5; Rv 11:15; 12:10). Vedi anche, in Mt 14:7; Hom. in Lk 36, in cui chiama Cristo autobasileia, e Tertulliano, Adv. Marc. IV, 33,8: “In evangelio est Dei Regnum, Christus ipse”. Sulla corretta comprensione del termine “regno”, vedi la relazione della Commissione Teologica Internazionale (8 Ottobre 1985): Temi Scelti di Ecclesiologia, No. 10,3.

 

(19) DM 13.

 

(20) Insegnamenti 1986, IX/2, p. 1262.

 

(21) Cf. Ecclesiam Suam, ch. III; cf. anche Insegnamenti 1984, VII/1, p. 598.