Don Giuseppe Ghirelli la partenza per l’Africa se la porta da sempre nel cuore, fin da quando giovane responsabile del Centro Missionario Diocesano di Anagni- Alatri, animava con passione le attività missionarie, in particolare dei giovani. In cuor suo era già un fidei donum, ma di fatto la realizzazione del suo sogno è stata possibile solo in età adulta, quando nel 2014, parroco ad Olevano, il suo vescovo monsignor Lorenzo Loppa gli ha dato il mandato missionario per l’Etiopia, un Paese dove su 96 milioni di persone, il 40% ha meno di 20 anni. Ma anche un territorio provato dalla guerra, dove solo chi scommette tutta la propria vita per Cristo può andare. E rimanere tre anni e mezzo nella nuova Prefettura apostolica di Robe presieduta da padre Angelo Antolini che lo ha destinato ad una parrocchia della cittadina di Goba, al confine con la Somalia.

Così a 60 anni, don Giuseppe si è messo diligentemente a studiare l’inglese e la lingua dell’etnia Oromo che abita quella regione del Sud est dell’Etiopia, in cui maggiore è stato il dissenso al regime di Haile Mariam Desalegn. «Nagaa, Akkam Jirtuu?» ovvero «Pace, come state?» in lingua oromo è la domanda che il missionario si è abituato a rivolgere alla gente di Goba, 30mila abitanti in maggioranza musulmani, con una buona presenza di ortodossi, dove i cattolici sono solo una esigua minoranza. Nella regione infatti ci sono solo 900 fedeli su quattro milioni di persone e in Etiopia tutte le Chiese sono riconosciute, a livello legale, come Organizzazioni non governative di carità. Nonostante la Chiesa cattolica sia numericamente così esigua, riscuote un ampio consenso tra la gente per l’attenzione ai poveri, agli ultimi, agli emarginati, accolti sempre nel rispetto delle tradizioni e delle culture locali.

Don Peppe, come lo chiamano tutti ad Anagni e dintorni, vive con entusiasmo una missione di prima evangelizzazione, nella sua parrocchia dove sono presenti quattro Missionarie della Carità di Madre Teresa, che lo aiutano nel servizio pastorale e nella gestione di una casa famiglia che ospita otto ragazzi di diverse religioni, orfani dei genitori. «Sono in una zona in cui il Vangelo non è ancora arrivato – spiega don Peppe- proprio in uno dei tanti angoli del mondo in cui vive “la maggior parte dell’umanità che ancora non conosce Cristo” come dice la Redeptoris Missio. In territorio musulmano il missionario non è nessuno, bisogna essere umili nel comunicare le proprie idee. E farlo non con le parole ma con gesti veri, concreti, efficaci».

La fede robusta di questo prete ciociaro dal cuore africano è un segno forte di fede vissuta nella quotidianità: ne sono la prova vivente i 50 battezzati che quest’anno sono entrati a far parte della parrocchia di Goba, in maggior parte convertiti dall’islam. Quest’anno, oltre ai cinque preti presenti nella regione dovrebbero arrivarne altri tre sacerdoti e una famiglia fidei donum dalla diocesi di Padova, in questa zona che don Peppe definisce «periferica, isolata, abitata da pastori tradizionalmente insediati in zone rurali, dove non c’è internet, luce, acqua e passa solo una strada asfaltata che dopo 500 chilometri arriva ad Addis Abeba». Ma la missione non ha paura dei sentieri sterrati, né dei deserti e oggi il missionario dice che questa esperienza lo ha aiutato a capire «l’essenziale da comunicare agli altri per aprire un dialogo con la comunità. Qui prima che un prete sei un cristiano che scopre le ragioni della sua fede».